La grande novità della musica moderna fu l’originarsi all’alba del XX secolo della musica afroamericana: il Blues e il Jazz. Coevi e reciproci in termini di ascendenze e influenze.
I decisivi apporti e rapporti del Blues e del Jazz inerenti alla musica moderna li abbiamo visti varie volte e da prospettive differenti; facciamone una breve sintesi e aggiungiamo un tassello.
La grande novità della musica moderna fu l’originarsi all’alba del XX secolo della musica afroamericana: il Blues e il Jazz. Coevi e reciproci in termini di ascendenze e influenze.
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La struttura formale dei brani musicali è un fondamentale fattore, ma un po’ trascurato da tutti.
È mediamente poco preso in considerazione dai compositori di Jazz, Pop, Funk, Rock ecc., e assai poco rilevato dagli ascoltatori; seppur non c’è bisogno di un’istruzione musicale specifica, basta prestare un minimo di attenzione. O meglio, i compositori lo prendono in considerazione, ma nel senso che la stragrande maggioranza lo dà per scontato, appoggiandosi a una forma monotematica strofa-ritornello con le ali Intro-Coda. E quindi gli ascoltatori si sono assuefatti, pertanto ancor meno inclini a notare la forma musicale del brano che stanno ascoltando. Insomma, Intro-A-A-B-A molteplici volte e poi Coda. ECM (Editions of Contemporary Music) è una casa discografica fondata nel 1969 da Manfred Eicher in Germania. È divenuta un punto di riferimento per la sua eccezionale estetica: musica atmosferica prevalentemente strumentale di matrice jazzistica.
La sua poetica non è semplicemente della non aggressività, della quiete ritmico-tempistica e rarefazione sonica, con ampie arcate melodiche reiterate, altrimenti sarebbe semplicemente la poetica delle ballad, di pezzi lirici, densi di pathos, “sentimentali”, di cui ce ne sono innumerevoli in tutti i generi. Tutti più o meno conoscono i tre fattori fondamentali della musica: ritmo, melodia e armonia.
Chiunque sa che una melodia è una sequenza di note singole che si possono fischiettare, l’armonia è realizzata dagli accordi dell’accompagnamento cioè molte note eseguite più o meno simultaneamente, e il ritmo è dato dagli impulsi contenuti in un ciclo di pochi secondi che in maniera reiterata qualche strumento esegue. C’è un ulteriore elemento chiamato tempo cui tutto ciò è biunivocamente connesso. Il tempo musicale significa due cose indipendenti tra loro: velocità e metro. Sfido tutti gli appassionati di musica (pure musicisti, dilettanti o professionisti che siano) di far intonare con la voce da altra persona (o anche da sé) una nota qualsiasi e individuare 8 armoniche (note addizionali che si sviluppano insieme con la fondamentale); e intonarle.
La più che stragrande maggioranza non ci riuscirà. Il movimento vitale è dato da collisioni più o meno marcate, più o meno sfumate tra oggetti. Attriti energetici; potenza dinamica del calore.
Senza questi urti, contrasti, divergenze, resistenze, ci sarebbe la rigida, glaciale, immobilità. Dunque nel nostro vivere siamo continuamente alle prese con attriti di ogni tipo. Naturalmente pure in musica esiste ciò. Miles Davis, si sa, è un artista straordinario; per molti motivi. Ce ne è uno che è parecchio peculiare e che è poco noto.
Davis si differenziò ulteriormente da tutti gli altri perché fece una scelta radicale già sul finire degli anni Sessanta: conclusasi dopo alcuni anni e alcuni stupendi dischi la meravigliosa esperienza del famoso quintetto (Shorter, Hancok, Williams e Carter), si immerse totalmente nella musica modale, e non ne uscì più. Swallow Tales è un album di Jazz pubblicato il 12 giugno 2020 dalla ECM Records a nome di John Scofield.
I nove pezzi sono scritti dal bassista (elettrico) Steve Swallow. Completa il trio il batterista Bill Stewart. L'ultima registrazione di questo trio risaliva al 2007 (This Meets That). John Coltrane (Hamlet, 23 settembre 1926 – New York, 17 luglio 1967) è stato uno dei più importanti musicisti del secolo scorso. Ha fondato un atteggiamento rivolto alla musica quasi religioso, spirituale.
Flat Out di John Scofield, pubblicato nell’estate del 1989, è un disco da 5 stelle.
Di solito a questi rozzi sistemi, usati dalla comune pubblicistica per le valutazioni qualitative delle opere, sono accostati testi con descrizioni vaghe e asserzioni cariche di aggettivi cui non sono correlate oggettive cause; spesso sono solo effetti delle sensazioni suscitate in chi ne sta scrivendo. Dunque quei giudizi di valore sono inattendibili. Nel Novecento c’è stato l’avvento del Jazz e questa fu la grande novità mondiale della musica.
L’innovazione è inerente non soltanto il concetto e la pratica di una diffusa improvvisazione di assoli e accompagnamenti, correlati anche a temi melodici sovente interpretati con notevoli variazioni rispetto alla pagina “scritta” inusitati fino allora, ma soprattutto del suo essenziale ritmo swing. Il ruolo del bassista è sempre stato un po’ oscuro. Si sa che di solito esegue una nota alla volta nella bassa e medio-bassa tessitura musicale (da circa 40Hz a 160 Hz di frequenza), quindi delle brevi linee melodiche.
A volte del brano musicale marca quasi pedissequamente le note fondamentali degli accordi che si susseguono, sovente doppiando il ritmo della cassa della batteria, altre traccia una linea melodica più complessa, altre ancora un vero e proprio motivo-riff. Questo disco di Herbie Hancock pubblicato nel 1964 ha la mia età, ma non è certo per questo che ne scrivo oggi. Empyrean Isles è il quarto disco in studio di Hancock ed è un altro di quei dischi che ha contribuito ad ampliare la grandezza del Jazz, imprimendo ulteriori traiettorie a ciò che in questo genere gli artisti a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta stavano compiendo, andando oltre quella coniugazione stilistica chiamata hard-bop (e soul-jazz): la svolta modale e free.
Non è difficile sostenere che Joni Mitchell, cantautrice (chitarrista e pianista), sia stata un’importante artista musicale. E lei ha reso omaggio a un colosso del Jazz, Charles Mingus, con un album pubblicato nel 1979 intitolato semplicemente Mingus. Un disco coraggioso che fu un fiasco commerciale; anche la critica giornalistica non fu munifica.
Ai più, il nome del pianista e compositore Alfred “McCoy” Tyner (scomparso il 6 marzo 2020) non dice nulla. Qualcosa dice agli appassionati di musica; moltissimo a quelli di Jazz. È stato colui che ha affiancato John Coltrane nel suo periodo più rilevante, dalla fine degli anni Cinquanta a metà dei Sessanta del ‘900. Tyner, dopo aver contribuito alla grandezza della musica di Coltrane (e lasciatolo alle sue fughe cosmic-free cui si sentiva avulso), ha quindi intrapreso una notevolissima carriera come leader di proprie formazioni, pubblicando molti dischi importanti; almeno per una decina di anni e perciò fin dopo la metà degli anni Settanta.
A volte l’emozione di alcune musiche porta un acuirsi dei sensi elementari. Un sottile fremito, deliziosa trepidazione; un po’ come gli animali quando sentono l’avvicinarsi di un terremoto. Impulsi primari.
Altre volte quei sensi si sopiscono, non si sta più in sorveglianza del quotidiano vivere, ci si lascia andare come quando si sta in viaggio di vacanza; si socchiudono gli occhi al sole e si conquista quel che si vede con un’attenzione a dettagli e sfumature di colori e luci che normalmente non si ha, e che fa sentire lo scorrere di quel tempo come onirico, sospensione della realtà opprimente di pericoli: estranei della nostra sorte e quindi beatamente rilassati. Sovente la musica di Pat Metheny sembra donare questa sensazione di viaggio… Pochissime, misuratissime note, suoni, per esprimere vibrazioni poetiche… Ho sempre pensato alla poesia come a un qualcosa di esiguo, di estremamente raffinato; sofisticato. Come un diamante magistralmente tagliato con le migliori proporzioni per irraggiare più luce possibile. Concludo questa sorta di trilogia di articoli (qui e qui) dedicati ai Perigeo con uno dei brani che preferisco: Nadir. È contenuto nel bellissimo disco Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere pubblicato nel 1973.
Composto dal pianista Franco D’Andrea, quasi quattro minuti di grande atmosfera, senza assoli, basati su un nucleo di solo quattro note; ma è un nucleo eccezionale, trattato in modo straordinario... La storia musicale dei Weather Report è tanto importante quanto di non agevole decifrazione. Questo è dato principalmente dalla natura prismatica della loro musica (strumentale e di radice jazz) e il loro mutevole percorso attraverso i sedici anni di attività (1971-1986); peraltro inserita in un periodo molto particolare della musica moderna. Sedici anni per altrettanti dischi pubblicati “in vita”, considerando l’ottimo Live In Tokyo del’72 distribuito solo in Giappone, incastonati nell’era del grande Rock (parallelamente a nascita e declino del Progressive), del Funk (con nascita e sviluppo della Dance), del Punk e della New Wave; e quindi il periodo dell’elettro Pop-Rock inglese. Altresì in quell’epoca il Jazz era in piena crisi (e regresso) e infine la parabola del Jazz-Rock e della Fusion, cui i WR furono tra i massimi esponenti.
La “trilogia elettrica” di Wayne Shorter risalente agli anni Ottanta è stata, ed è ancora, considerata poco e male. Poco e male sia in senso quantitativo (poco analizzata, quasi ignorata) sia qualitativo (stigmatizzata come sorta di abbaglio o inciampo). Wayne Shorter è un compositore-sassofonista (tenore e soprano) tra i più stimati e influenti in assoluto, membro del gruppo di Art Blakey nei primi anni Sessanta, ha avviato una carriera solista per poi parallelamente entrare a metà di quel decennio nel gruppo di Miles Davis, e fondare nel 1971 con Joe Zawinul i Weather Report (che nel 1986 cessarono le pubblicazioni).
C’è un artista che, pur essendo famosissimo e ormai riconosciuto diffusamente come un innovatore musicale, non ha ancora trovato la giusta collocazione nei libri di storia della musica. È ignorato o appena citato. Sovente, purtroppo, è il destino di chi ha un così tanto ampio arco di creatività da scavalcare i generi musicali, ibridarli in modo così originale da realizzare opere inusitate, difficili da considerare anche per gli addetti ai lavori. Astor Piazzolla (bandoneonista* e compositore), partendo dalla musica popolare della sua Argentina, ossia il Tango, ha sin dalla seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo innestato così tanto elementi di Jazz e Classica da provocare nel tradizionale Tango una rivoluzione tanto profonda che solo dopo che è scomparso (1992) in Argentina c’è stato finalmente un apprezzamento del suo genio.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Aprile 2023
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