Chiunque sa che una melodia è una sequenza di note singole che si possono fischiettare, l’armonia è realizzata dagli accordi dell’accompagnamento cioè molte note eseguite più o meno simultaneamente, e il ritmo è dato dagli impulsi contenuti in un ciclo di pochi secondi che in maniera reiterata qualche strumento esegue.
C’è un ulteriore elemento chiamato tempo cui tutto ciò è biunivocamente connesso.
Il tempo musicale significa due cose indipendenti tra loro: velocità e metro.
Non a caso il congegno inventato per “dare il tempo” è chiamato metronomo: l’orologio musicale; i direttori d’orchestra sono degli orologi umani.
Per quanto concerne la percezione del tempo come velocità è piuttosto elementare, tutti bene o male sentono la pulsazione principale (battito), magari battendo il piede; più arduo avvertire il tempo metricamente, come settore temporale col preciso raggruppamento delle pulsazioni e la loro numerazione.
Non dimentichiamo che la musica è speciale proprio per la sua dimensionalità: ha la quarta, il tempo. Infatti, soprattutto in alcuni generi (Jazz-Rock e Prog) sovente nel corso dei brani ci sono dei cambi di tempo (sia di velocità sia metrici) proprio per rendere la “narrazione” musicale più avvincente.
Dunque variazioni di velocità (chiamate agogiche, al netto delle naturali, minime, fluttuazioni casuali) non sono rare nella musica moderna* pre Dance: in seguito tale flessibilità è praticamente scomparsa.
Queste diacroniche modifiche di velocità sono semplicemente inerenti la durata dei suoni: allungandoli o accorciandoli (di solito a senso senza preciso calcolo), non introducendo alcun misurato fattore sincronico a contrasto nello scorrere, non alterano la metrica.
È invece molto inconsueto siano realizzate aritmeticamente e sincronicamente. Alcuni grandi compositori per ottenere peculiari effetti musicali lo hanno fatto, manipolando integralmente il tempo.
Ciò è possibile frazionando ad hoc il raggruppamento metrico e sovrapponendolo alla pulsazione base; la più diffusa suddivisione è quella ternaria di un metro base binario: la proporzione 3:2, la terzina. Comunemente queste particolari suddivisioni sono chiamate gruppi irregolari**. Sono le matrici della polimetria.
E se in una melodia (e ancor più in un assolo) in ordine sparso e brevemente ciò capita spesso, è raro che avvenga in modo proseguito e sistematicamente corale. Allorquando c’è l’effetto è specifico: di solito si percepisce un totale e simultaneo cambio di velocità e di pulsazione metrico-ritmica del brano.
Nel Jazz, Charles Mingus fu uno di quei colossi che applicavano questa tecnologia musicale; tra gli esempi più fulgidi c’è il celebrato e notevole Pithecantropus Erectus del ’56.
1’29”
1’32”
Nondimeno nel finale la sezione terzinata da 10’ accelera decisamente come velocità di battiti (agogica) e, facendolo, evidenzia la vera natura metrico-ritmica di 4/4 terzinato, uno speed backbeat, per poi rallentare notevolmente e terminare. Insomma Mingus le ha usate tutte…
Il tempo in musica è l’elemento che diversifica ulteriormente quest’arte da tutte le altre, che la rende per alcuni versi ancor più metafisica, per altri ancor più concreta: viva e vissuta. Chi riesce a dominarlo, e quindi servirsene profondamente, consegue dimensionalità inusitate.
* Nella Classica voluti rallentando/accelerando sono la norma.
** Un gruppo irregolare è una serie simmetrica di suoni il cui frazionamento temporale relativo al metro (numeratore) di riferimento non è un suo multiplo o sottomultiplo.
Rammentiamo pure che la proporzione 3:2 è la stessa come intervallo tra note più consonante di tutte (dopo l’ottava) ossia di quinta, quindi quella più armonica. Stessa identica cosa a livello ritmico; in musica Classica questa proporzione musicale è chiamata hemiola (pure senza h).
*** Autentici 6/4, 6/8, 9/8, 12/8 sono per esempio “Footprints” di Shorter (6/4); prima sezione di “Just In Time To See The Sun” di Santana (6/8), il motivo di “Blue Rondo a la Turk” di Brubek (9/8), “The Floating World” dei Soft Machine (12/8).