Da quando in Europa nel XVI secolo si è iniziato a teorizzare e usare gli accordi, pertanto a mischiarli con la polifonia medievale (basata su più linee melodiche scalari), quindi a svilupparli sempre più in sequenze nel XVII secolo, giungendo nel secolo successivo a fondare il Sistema Tonale.
L’arpeggio melodico* è semplicemente suonare (o cantare) le note costituenti un accordo, una dopo l’altra senza far risuonare le precedenti (come nell’arpeggio armonico).
Quel che ha innescato una riconsiderazione verso questa ottimale procedura è stato circa un secolo fa la rivoluzione dodecafonico-seriale di Schoenberg. Non a caso fu chiamata (non da lui) Atonalità, giacché si prefiggeva di offrire un’alternativa alla ormai secolare Tonalità delle scale diatoniche con le loro fruste armonizzazioni accordali (e conseguenti arpeggi). Scosse profondamente la Classica.
Dopo pochi decenni il Free Jazz (lo chiamarono anche New thing) scosse profondamente il Jazz: iniziò a svilupparsi quest’altra rivoluzione, parente all’Atonalità.
Se è vero come è vero che la base del Sistema Tonale fu il pensiero armonico-accordale desunto da una scala diatonica, e che la base dell’arcaico (e pure medievale) Modale è la nota fondamentale di una scala, se si voleva più che innovare, rivoluzionare, non bastava pensare a nuovi accordi e scale, si doveva eliminare il concetto stesso di nota fondamentale attorno alla quale tutto il resto orbita.
Dunque venne assunta la scala generale, ossia la scala Cromatica, al contempo come esclusivo fondamento e “tutto”: nessuna nota doveva essere la privilegiata, quella magnetica attrattrice; Schoenberg ci riuscì mediante particolari e rigorose procedure (serialità).
In questo modo l’effetto è del tutto caleidoscopico, destabilizzante, quindi tensivo; mai ascoltato prima qualcosa di simile.
Per conseguire genericamente un effetto analogo, il Free adottò varie tipologie procedurali affatto diverse, e non solo pratiche, pure concettuali. Abbracciò sì il “percorrere” senza limiti l’intero spazio musicale cromatico (senza accordi e sequenze di essi, perlomeno nel modo usuale), con la scala Cromatica che, però, non doveva essere pedissequamente prescritta ed essere l’esclusiva fonte di fraseggio, ma liberamente usata (ancorché adottata strutturalmente e non come semplice riserva di note alla quale attingere occasionalmente per ottenere effetti di tensione-risoluzione istruiti da una rete armonico-accordale come il Jazz aveva già ampiamente fatto).
Ciò nelle improvvisazioni si tramutò in un’individuale e feconda anarchia, permettendo di giungere, nel suo sviluppo più maturo e consapevole (p.e. Pat Metheny), a improvvisare in questa maniera anche in brani convenzionali. Un’altra grande innovazione.
Ma qui un punto assai critico a carico del Jazz: di grandi melodisti non ce ne sono stati molti, pochi da mezzo secolo a questa parte (pochissimi i fuoriclasse** in tal senso e in assoluto, dunque pure al di fuori del Jazz), e il Free ha contribuito a peggiorar le cose, pure perché le linee free (a differenza dell'Atonalità) sono sempre veloci.
Questo perché i solisti, che hanno imparato la lezione free e vogliono esser “nuovi”, infondono in modo invalso l’improvvisare linee assai rapide e scalari*** (parzialmente) free non solo in brani convenzionali e canzoni piuttosto melodiche, ma addirittura in ballad.
Se non free, sovente affrontano questi pezzi come fosse un moloch musicale tipo Giant Steps.
Pertanto in canzoni come My Funny Valentine, Stella By Starlight e decine di altre, l’invenzione melodica è in sostanza assente, andando totalmente a snaturare quel che si è scelto di suonare (solitamente senza accompagnamento armonico, per esser ancor più efficienti ed efficaci nel suonare linee free, o comunque parecchio complicate).
Ci sono innumerabili occasioni per esprimersi in modo complesso e "nuovo", pure in blues o pezzi modali, anche lenti… Ciò lungi dall’essere una prescrizione, tutti liberissimi di suonare come vogliono, è solo una constatazione storica a fronte della diffusissima povertà melodica e del fatto che perlopiù quelle linee oltre a essere molto scalari (potentissimo retaggio didattico di chi studia Jazz) sono piuttosto simili tra un jazzista e un altro: soluzioni da anni schematizzate.
Insomma, va benissimo pure in una ballad inserire tensioni di qualsiasi natura, financo free, ma suonare sempre una ballad prevalentemente quasi fosse un pezzo free (o come Giant Steps) senza esser veramente melodici (ossia senza espedienti e formule****), e mai, magari per contrappasso in pezzi molto complicati e rapidi, essere melodici, indica che pure il Jazz contemporaneo non gode di buonissima salute.
Degli arpeggi in ostinato ne hanno fatto largo uso i Deep Purple (p.e. Lord in Highway Star da 2’14’’ a 2’30’’ e Blackmore a 4’30’’), mutuandoli direttamente dalla Classica barocca: conferma l’efficacia e l’efficienza del Rock, la sua estetica e poetica, di essere incisivo con poco.
*** Linee molto omogenee di numerose note senza ampie dinamiche né d’intensità né articolative e senza cesure, soluzioni di continuità, soprattutto ritmiche.
**** Poche note insistite nel registro medio-acuto/acuto, pochissime note reiterate a mo’ di ostinato, timbri morbidi e/o atmosferici con profonde ambienze, parafrasi del tema del brano.