Dunque nel 1985, in piena crisi dei WR, Wayne Shorter pubblicò Atlantis, cui fece seguire nel 1987 Phantom Navigator e Joy Rider nel 1988: ben tre dischi in quattro anni. Singolare prodigalità da parte di chi era dal 1975 che non pubblicava un proprio disco (Native Dancer) e che solo nel 1995 riprese le pubblicazioni (High Life).
La sua musica è davvero complicata, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti armonici e melodici (particolari strutture melodico-intervallari insieme con una fortissima propensione al cromatismo e alle modulazioni), abita in una terra di mezzo: né tonale né modale: un miscuglio quasi continuo tra questi campi d’azioni musicali. Va considerato pure che le trame melodiche spesso sono polifonicamente intrecciate, specie di moderne mini fughe contrappuntistiche.
Complicate sono anche le forme ordinatrici, ossia quante diverse sezioni costituiscono i brani (e quanto lunghe) e come sono collegate. Sotto il profilo squisitamente ritmico-metrico le parti non sono semplici, tuttavia non particolarmente difficili. Le sue composizioni sono molto predeterminate, scritte su carta; seppur prevedano settori d’improvvisazioni, l’assetto è quello di una musica estremamente cerebrale.
Peraltro un impiego massiccio di elettronica fa in modo che l’immediata percezione, appena dopo quei tempi, sia quella di musica datata, inattuale, giacché sono databili i timbri usati: comunemente al variare degli anni sono variati alcuni suoni adoperati e quindi facilmente riconducibili a precise fasi storiche.
Molto più comodo e rimunerativo usare timbri divenuti classici o essere semplicemente acustici: nobilita subito, o perlomeno non si rischiano strali. Infatti, la stragrande maggioranza ha poi fatto così; lui compreso.
I brani rimangono ancora difficili, pure sotto il profilo di “ricezione emotiva”, nel senso che Shorter, come già affermato, è così innovativo che si rimane un po’ sconcertati da quel che pure in modo grossolano e manieristico potremmo intendere come comuni “sentimenti e sensazioni” da trarre: gioia, arrabbiatura, serenità, inquietudine ecc. E' difficile percepire un’univoca sensazione di un brano, rinviarlo a uno di questi stati emotivi, sono trascesi... sembra ci siano un po’ tutti, susseguendosi, finanche a volte sovrapponendosi. Insomma, complessivamente prevalgono effetti più neutri e sospensivi; si rimane come fluttuanti a mezz’aria.
Basterebbe l’ultimo pezzo, Someplace Called Where, nel quale eccezionalmente c’è una parte cantata (Dianne Reeves): considerata la moderata velocità e la tavolozza timbrico-strumentistica usata poteva essere semplicemente un pezzo quieto, così non è...
Posologia: se assunti con cautela, dovrebbero far molto bene, soprattutto in questi tempi atmosferici: rinfrescano mente e corpo. Buon ascolto.