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Libro Eroi Elettrici

Il suadente tepore crepuscolare di Autumn Leaves

11/10/2018

4 Commenti

 
Adoro l'autunno, col suo clima e la sua atmosfera di pacatezza, coi suoi colori e fragranze; il ritmo lento delle foglie che si separano dagli alberi per volteggiare al primo soffio di vento, foglie autunnali: Les Feuilles Mortes. 
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Il suono è dolce e malinconico anche in inglese: Autumn Leaves. Una magnitudine attrattiva alla quale non seppi resistere: Autumn Leaves, una tra le canzoni più famose in assoluto, fu tra i primissimi pezzi che imparai, vuoi per il titolo, vuoi perché molto diffusa, vuoi perché alquanto semplice. 
Composta da Joseph Kosma (ungherese emigrato in Francia) nell'immediato secondo dopoguerra per un film con parole di Jacques Prevert (poi nella versione in inglese sostituite da quelle di Johnny Mercer), tra gli anni Cinquanta e Sessanta ebbe un enorme successo: cantata dalla stragrande maggioranza dei più noti interpreti, divenne anche uno standard jazz.
Pertanto fu un brano subito elaborato e suonato dai maggiori jazzisti (e da quelli alle prime armi), rendendo Autumn Leaves più nobile e davvero immortale nelle sue continue metamorfosi.
Era comune che i jazzisti, quando non componevano propri brani, attingessero dal repertorio popolare per veicolare la loro arte di rielaborazione musicale che, al netto delle improvvisazioni solistiche, fa uso di tutti i mezzi teorici e tecnici per alterare e quindi personalizzare le musiche che scelgono.
Le aree d'intervento, oltre naturalmente al ritmo, non sono tanto la ristrutturazione formale (il susseguirsi e le ampiezze di strofe, ritornelli ecc.), quanto le armonie e l'esposizione dei temi melodici.
Sì, ma perché scegliere un pezzo invece di un altro, e che avrebbe Autumn Leaves di tanto particolare da assurgere a brano tra i principali in assoluto?
 
Di là che ai jazzisti intriga molto mettersi alla prova nell’impresa di nobilitare un pezzo popolare, essi devono scorgere terreno fertile per sviluppare le loro idee e tecniche, e Autumn Leaves è dotata di quegli elementi chimici vitali, di quell’humus tanto caro ai jazzisti: è un brano fondato su una sorta di moto perpetuo stabilito dalla sequenza accordale, non lunga né complessa ed è molto lineare melodicamente. Gli spunti ci sono, ma per renderlo interessante bisogna faticare.
Seppur possa non sembrare in apparenza, gira continuamente sui medesimi sette accordi per l’intera struttura di ben 32 misure senza mischiarli, ossia proponendo sempre la stessa concatenazione armonica, è una ragguardevole peculiarità: DOm7-FA7-SIbM7-MIbM7-LAm7(b5)-RE7-SOLm, poi riprende da dove è iniziata la serie, DOm7.
(Con la rapida eccezione tra A e B: quest’ultima inizia ripetendo le ultime quattro battute di A.)
Senza addentrarci troppo in meandri di grammatica musicale, gli accordi, seppur armonizzati in modo convenzionale ossia per terze diatoniche, si muovono interamente per intervalli di quarta ascendente (o quinta discendente), pertanto l’intero apparato del moto armonico-melodico di Autumn Leaves taglia esattamente a metà il basilare Circolo delle Quinte (rappresentante lo spazio musicale), tracciando una sorta di triangolo equilatero: lo percorre con la cesura tritonica tra il MIb e il LA.
Parte A inizia dal DO cerchiato in rosso (prosegue col FA e SIb...), B dal LA in azzurro (prosegue col RE e SOL...)
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Il MIb e il LA divengono così, insieme al vertice DO, gli altri due spigoli d’intersezione dell’intrinseca struttura musicale di Autumn Leaves.
Peraltro se è vero che abitualmente ci si riferisce alle rassicuranti tonalità di SIb (in A) e SOLm (in B), a rigore il brano principia in DO dorico e prosegue in LA locrio; inoltre verso la fine (undicesima e dodicesima battuta del B) ha due rapidi passaggi modulanti in SOL dorico e FA dorico. Tutto ciò è confermato dalla melodia.
Altresì la progressione melodica della parte A è basata su 4 moduli di 4 note in moto contrario tra loro, ovvero, le note in sé sono ascendenti ma i blocchi modulari si susseguono in maniera discendente.
Per contrasto la parte B è soprattutto ascendente, nondimeno prende slancio da note più basse, rendendo anche questa sezione una sorta di pendolo melodico.


​Insomma, Autumn Leaves a tutta prima sembra una canzoncina tanto orecchiabile quanto ordinaria, tuttavia ha una morfologia di peculiare morbidezza armonico-melodica, che offre all’ascoltatore un’atmosfera di suadente tepore.
Il sentiero autunnale di questo brano è un flessuoso anello, un’impronta sonica che riconduce a una tanto sottile quanto inestinguibile nostalgia.
 
Tra le versioni più pregevoli, dopo le prime del 1955 dei bravissimi pianisti Erroll Garner e Ahmad Jamal e quelle più note di Bill Evans e Miles Davis, quella di Cannonball Adderley contenuta nel suo disco del 1958 Somethin‘ Else e quella di Wynton Marsalis nel suo Standard Time vol.1 (1987).
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4 Commenti
Alberto Arienti link
13/10/2018 13:34:30

La canzone in oggetto è definita "canzoncina tanto orecchiabile quanto ordinaria" e quindi sembra essere riabilitata solamente grazie ai grandi jazzisti che l'hanno eseguita.
Peccato che Joseph Kosma fosse un apprezzato compositore di colonne sonore e balletti e che il "paroliere" fosse Jacques Prevert, poeta esistenzialista di grande successo.
E peccato che, prima di attraversare l'oceano, questa canzone fosse diventata un po' l'inno degli esistenzialisti, grazie anche alle famose versioni di Yves Montand e Juliette Greco (che probabilmente l'avrà insegnata a Miles quando stavano assieme).
C'è da aggiungere che la maggior parte delle versioni jazz sono suonate a tempo medio-veloce, tradendo totalmente l'atmosfera del testo, triste e problematico.

Risposta
carlo pasceri
13/10/2018 16:27:15

Caro Alberto,
evidentemente dovrebbe leggere con più attenzione ciò che ho scritto; anche nello specifico che ha riportato virgolettato...
Del testo e della sue implicazioni socio-culturali non me ne occupo.

Risposta
Alessandro
10/7/2021 22:40:14

La musica (jazz) tradisce lo spirito dell'autore.coloro che si appropiano del lavoro altrui sono dei falliti

Risposta
carlo pasceri
12/7/2021 07:51:32

Gentile Alessandro,
chi interpreta un brano di un altro autore (chi lo fa è di solito autore a sua volta) non tradisce, anche perché non distrugge, l'opera altrui,
semmai è un costruire e onorare giacché ha intuito di quel brano ulteriori potenzialità che lo hanno "ispirato" a che si possa svilupparlo, estenderlo attraverso le proprie abilità, aumentandolo in ogni caso in tutto;
paradossalmente anche per coloro cui non piace quell'interpretazione, giacché in questa eventualità l'originale è reso, per confronto, più desiderabile e affascinante.

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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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