Vale a dire, lenti movimenti in un ridotto spazio musicale (di solito nell’ambito dell’ottava musicale ossia nello spazio di raddoppio-dimezzamento frequenziale delle note: per esempio Do1 – Do2).
Innanzitutto la dimensione melodica è data dalle scale musicali, e tra le migliaia possibili selezionate da quella Cromatica di 12 note (o meglio, di 13) quella in stragrande maggioranza in uso da secoli nella musica occidentale è soltanto la scala Maggiore di 7 note (o meglio, di 8); con la sua cosiddetta relativa, la Minore naturale.
Ed entro l’ottava musicale, settime, seste, tritono e terze sono più difficili da intonare (sia mentalmente sia vocalmente) di quinta, quarta e seconde (e ottava stessa).
Sostanzialmente l’ordine è proprio questo, pertanto la quarta è molto più facile di una settima, una seconda più facile di una terza, una quinta più facile di una sesta e così via.
Ciò perché normalmente un intervallo più è distante più è “difficile”; tuttavia, per esempio, una quinta è più facile di una terza giacché più simile alla nota di origine.
Quinta e quarta (e ovviamente l’ottava essendo l’immediato multiplo o sottomultiplo dell’origine) hanno molte più coincidenze di armonici di terze, seste ecc. e ciò ne determina i gradi di “parentela”: per esempio, un Sol è molto più parente a un Do rispetto a un La.
Pertanto nell’ordinamento delle “difficoltà intervallatiche” concorrono fondamentalmente due fattori: la distanza e la parentela armonica.
Comunque anche la quantità conta: più sono le tipologie intervallatiche (pure ascendenti/discendenti) e gli schemi scalari da cui sono tratte, più è difficile la cantabilità.
Altresì ciò che concorre al grado di cantabilità melodica sono i profili strutturali che gli intervalli generano nello spazio musicale (ovviamente nel tempo): più sono ricorsivi più sono facili perché più predicibili e memorizzabili e quindi duplicabili.
Possiamo comodamente stimare gli assetti dei motivi melodici trasponendoli direttamente dal “nostro” ottimo sistema notazionale (il pentagramma); negli esempi sono mantenute rigorosamente le relazioni assolute delle altezze (le intonazioni frequenziali sull’asse verticale) mentre, per facilitare l’osservazione, le durate (asse orizzontale) sono rese omogenee.
Ho scelto quattro pezzi piuttosto paradigmatici: verosimilmente il motivo più cantato al mondo, Tanti Auguri a Te, il primo ritornello di un noto pezzo di musica rock (I Talk to the Wind dei King Crimson), e due strumentali, il celeberrimo attacco di Europa dei Santana (i primi 22 secondi), e la prima “strofa” di uno tra i più famosi (e semplici) standard jazz, Take the A Train dell’orchestra di Duke Ellington.
Le morfologie e le aree appaiono chiare; le prime tre molto semplici e ricorsive (peraltro quella di Europa sfrutta una tipica procedura classico-barocca chiamata progressione), l’ultima parecchio meno, molto più frastagliata. Inoltre in Tanti Auguri si privilegiano gli intervalli di quarta, quinta e ottava (poi seconde), in I Talk le seconde (poi terze), in Europa le seconde (poi quarte) in Take Train le seste (poi seconde).
Dunque, in un inesorabile cortocircuito, più si producono ripetizioni, sia nel micro di un passaggio di un paio di secondi, che spesso poi concorre nel modellare una più ampia e regolare morfologia di un periodo parecchio incrementato, sia nel macro di ascoltare quel pezzo di musica molte volte, più si genera familiarità che offrirà maggior cantabilità.
Così quel pezzo ci “arriva”, lo “capiamo” sempre più e spesso ci fa dire che ci piace sempre più. Ciò lo notiamo prevalentemente per quelle musiche che all’inizio ci “arrivano” di meno.