Who, Genesis, Bach, Gentle Giant, Pink Floyd e Monteverdi sono alcuni tra i nomi più importanti legati da una linea rossa, nemmeno troppo sottile… Nel corso della storia della musica occidentale sono state combattute molte guerre e battaglie sanguinarie. A oggi la guerra più decisiva è quella scoppiata in Italia nel ‘600 che vide coinvolti i fautori della restaurazione del primato del testo e della semplicità melodica, del “recitar cantando”, sulla musica più complessa e raffinata che poco evidenziava le parole e che era da molti considerata un’algida esibizione intellettuale.
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C’è un artista che, pur essendo famosissimo e ormai riconosciuto diffusamente come un innovatore musicale, non ha ancora trovato la giusta collocazione nei libri di storia della musica. È ignorato o appena citato. Sovente, purtroppo, è il destino di chi ha un così tanto ampio arco di creatività da scavalcare i generi musicali, ibridarli in modo così originale da realizzare opere inusitate, difficili da considerare anche per gli addetti ai lavori. Astor Piazzolla (bandoneonista* e compositore), partendo dalla musica popolare della sua Argentina, ossia il Tango, ha sin dalla seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo innestato così tanto elementi di Jazz e Classica da provocare nel tradizionale Tango una rivoluzione tanto profonda che solo dopo che è scomparso (1992) in Argentina c’è stato finalmente un apprezzamento del suo genio.
Le levigate melodie iper diatoniche della musica del periodo barocco o classico (‘600/’700) hanno fatto ai più intendere che l’angolarità e il cromatismo, le “dissonanze” e le complessità extra tonali siano prerogative dei secoli successivi, quelli regnati da titani come Wagner, Charlie Parker, Debussy, Davis, Schönberg, Monk, Stravinsky, Coltrane, Mahavishnu Orchestra, Mingus, Bartok, King Crimson...
Non è andata in questo modo. Quel che lega il Prete Rosso (Antonio Vivaldi), il Barbaro Matematico (J. S. Bach), la Popstar (W. A. Mozart), la Rockstar (L. Beethoven) e il Vate (R. Wagner) è un preciso modello musicale cui aderirono. L’epoca di svolta della musica occidentale (europea) fu quando nel Seicento, scalzando la magnifica polifonia medievale-rinascimentale, cominciarono a imporsi concetti teorici armonici-melodici e procedure formali che riguardavano un particolare sistema musicale (chiamato poi tonale) e suoi fattuali ordinamenti strutturali che stabilivano soggetti, ambientazioni e ripartizioni del quadro musicale (introduzioni, code, AABA ecc.), incorniciandolo.
Le sinfonie (e in parte le suite), a differenza dei più importanti altri generi, forme e stili della musica Classica e non, sono lo spazio musicale più democratico. Infatti (fatta salva la medievale polifonia) il concerto, l’opera, la sonata, il lied o una qualsiasi moderna canzone, improvvisazione jazz/blues ecc., pone una condizione aristocratica o al massimo oligarchica, con “qualcuno” che diffusamente ha una posizione predominante. Per avvicinarsi alla musica sinfonica può esser utile iniziare con l’ultimo dei grandi sinfonisti della musica Classica: Dimitri Shostakovich.
Darmstadt, Germania, 1946, alcune persone stanno posando la pietra tombale sull’avvenuta tumulazione del secolare Sistema Tonale. In seguito, avrebbero ucciso e seppellito la giovanissima Dodecafonia… Le conseguenze dei loro "delitti" sono giunti fino a noi, nell’era Rock. Quella del Gruppo di Darmstadt fu una fucina musicale che segnò, nel bene e nel male, molto di ciò che avvenne poco dopo nel mondo della musica: dall’agonia della musica convenzionale prese vita un movimento di giovani compositori (Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Henri Pousseur, Luciano Berio, Bruno Maderna e Luigi Nono) che, coagulatosi intorno ai corsi della “nuova musica”, cercarono moderne vie partendo dalle esperienze di Messiaen e Webern, dalla serializzazione integrale, proseguirono (ognuno per sé) con rigorose e complesse procedure per tentare di pervenire a una nuova strutturazione dello spazio e del tempo musicale, eliminando residui di discorsività propri della musica precedente. Parallelamente ci furono le esperienze della musica concreta (Parigi) ed elettronica (Colonia).
Premessa. Nei primi anni del '900 ebbe a svilupparsi la musica afroamericana sulla scorta del ragtime di fine Ottocento, pertanto il Blues e il Jazz; negli anni ’50 le musiche elettriche del R&R ecc.: qui non sono prese in considerazione. Dunque, se è vero come è vero che l’estetica del Romanticismo la ritroviamo diffusa per tutto il Novecento e oltre, è altrettanto vero che il suo approccio progressista fa sì che mini dall’interno il linguaggio musicale che per oltre due secoli (Seicento e Settecento) aveva dominato la scena occidentale.
Andare oltre in ogni caso… Questa la missione del Romanticismo. Fu una reazione al dilagante dilettantismo imbellettato (che comunque si era infiltrato nella cultura e destinato a rimanervi seppur in forme differenti), ai superficiali e luccicanti ornamenti cipriati del classicismo settecentesco (prestabilito dal Barocco), che con la fine della monarchia francese (1789), aveva perso fulgore, charme…
Cammina sulla strada sbagliata chi pensa che il Settecento, l’età dell’Illuminismo, per la musica fu un periodo splendido, di raziocinio, di progresso. Il ‘700 musicale fu la breve era nella quale si ebbe l’avvicendamento stilistico tra il tardo Barocco con quello Classico: la consacrazione estetica, e in larga misura pratica, del principio che la musica fosse un’arte peggio che secondaria, e che si dovesse sottomettere al testo. Pertanto marginalizzare la musica strumentale e favorire quella cantata, l’Opera.
Continuando in modo arbitrario e minimale l’esplorazione delle nostre radici musicali, tutti sanno che la musica occidentale si è sviluppata dalla musica sacra, segnatamente dal cosiddetto canto gregoriano dell’Alto Medioevo. Forse meno ci si rende conto che questa matrice è molto orientaleggiante, e le ragioni sono politiche: l’assetto dell’impero era inclinato a Oriente (330 d.c. capitale Costantinopoli).
Bob Dylan “figlio” di Lorenzo de’ Medici. Cosa?! Un paio di minuti di lettura, please… Italia, Firenze, in piena epoca rinascimentale un gruppo di potenti persone, musicisti dilettanti, sta tramando a danno della rigogliosa polifonia madrigalesca che da secoli dominava le scene per una restaurazione della perduta e arcadica semplicità musicale. Sarà l’inizio del melodramma musicale; in tutti i sensi…
In estremo compendio, dopo il canto gregoriano dell’Alto Medioevo e la conseguente meravigliosa polifonia che dalla metà del ‘200 circa arrivò fino alla metà del ‘400, nel Rinascimento la musica occidentale ebbe un ulteriore impulso (anche a fronte di teorizzazioni musicali messe a punto da alcuni), per poi mutare definitivamente e compiere (circa nel ‘600) il salto decisivo: nacque il Barocco. Il termine “barocco”, anche in musica, è di solito usato in maniera dispregiativa, comunque non in modo riverente: abbondante, sfarzoso, decorativo, ridondante, superficiale… sono solo alcuni aggettivi usati per rappresentarlo (anche mutuati dalle altre discipline in particolar modo quelle figurative).
Ludwig van Beethoven (17 dicembre 1770 – 26 marzo 1827) è stato la summa del classicismo e della musica composta fino allora. Né “barbaro” né barocco, né “gotico” né religioso, lui fu il primo tra i grandi a non comporre musica per rituali, che fossero pagani, cristiani, o semplici feste di corte o carnevalesche.
Gino Vannelli (cantante, polistrumentista, autore di testi e musiche), sin dall'inizio, ovvero prima metà dei '70, insieme con Stevie Wonder e Al Jarreau, è il cantante che più ha portato avanti la fusione tra generi, realizzando delle musiche di straordinario spessore.
PRELIMINARE TRANCIANTE
Facciamola breve (per ora), si sa che il Rock discende dal Rock and Roll (boogie-woogie) e il Rhythm&Blues (doo wop e soul). Ma il Rock per non morire nella culla è dovuto subito andare oltre quei vasetti omogeneizzati marcati appunto R’n’R e R&B, erano troppo poco nutrienti per crescere, ha dovuto alimentarsi da altre fonti. Ciò perché quei generi (e stili), che intorno gli anni ’50 erano la musica Pop imperante negli Stati Uniti e quindi nel mondo occidentale, consistevano in una disidratazione ed essiccazione, non una sintesi creativa e feconda, dei fattori costitutivi il Jazz. Il compositore francese Erik Satie (1866 – 1925) è stato l’autore che a oggi si è rivelato il più attuale di tutti. I suoi lavori sono soprattutto per pianoforte, ed è stato attivo tra la fine dell’800 e gli albori del ‘900, influenzando molti suoi colleghi coevi, compreso il grande Debussy, ma soprattutto quelli cosiddetti d’avanguardia della seconda metà del ‘900. Questa modernità è data non tanto dalla musica come espressione del materiale usato (scale, ecc., ossia il lessico), non estremamente innovativo ed eccentrico in sé, quanto dall’atteggiamento intenzionale e formale di Satie nel comporre opere che pur basandosi su scelte consuete del materiale musicale, hanno sia un’originalità insita nelle melodie sia una disposizione in peculiari successioni di frasi e periodi musicali che determinano una forma di assoluta creatività musicale.
![]() Giovanni Allevi, ospite del Giffoni Film Festival lo scorso 22 luglio: “A Beethoven manca il ritmo. Quello lo possiede Jovanotti. Un giorno ho capito che dovevo uscire dal polverone e cambiare approccio con la musica, anche se si trattava di quella classica. Stavo ascoltando a Milano la Nona Sinfonia di Beethoven. Accanto a me un bimbo annoiato che chiedeva insistentemente al padre quando finisse. Credo che in Beethoven manchi il ritmo. Con Jovanotti, con il quale ho lavorato, ho imparato il ritmo. Con lui ho capito cos’è il ritmo, elemento che manca nella tradizione classica. Nei giovani manca l’innamoramento nei confronti della musica classica proprio perché manca di ritmo”. La implicita e volgarissima approssimazione compiuta da Allevi, ovvero Batteria=Ritmo, la dice appunto lunga sullo spessore del personaggio: una carta velina. La qualità delle sue esternazioni è pari alla qualità della sua musica: prendersela troppo con lui è come rubare le caramelle a un bambino.
Tuttavia ci offre un importante spunto di ponderazione: quanto la batteria ha influenzato la musica dell'ultimo secolo e perché. |
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Aprile 2023
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