L’innovazione è inerente non soltanto il concetto e la pratica di una diffusa improvvisazione di assoli e accompagnamenti, correlati anche a temi melodici sovente interpretati con notevoli variazioni rispetto alla pagina “scritta” inusitati fino allora, ma soprattutto del suo essenziale ritmo swing.
Nel Novecento c’è stato l’avvento del Jazz e questa fu la grande novità mondiale della musica.
L’innovazione è inerente non soltanto il concetto e la pratica di una diffusa improvvisazione di assoli e accompagnamenti, correlati anche a temi melodici sovente interpretati con notevoli variazioni rispetto alla pagina “scritta” inusitati fino allora, ma soprattutto del suo essenziale ritmo swing.
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Il ruolo del bassista è sempre stato un po’ oscuro. Si sa che di solito esegue una nota alla volta nella bassa e medio-bassa tessitura musicale (da circa 40Hz a 160 Hz di frequenza), quindi delle brevi linee melodiche.
A volte del brano musicale marca quasi pedissequamente le note fondamentali degli accordi che si susseguono, sovente doppiando il ritmo della cassa della batteria, altre traccia una linea melodica più complessa, altre ancora un vero e proprio motivo-riff. Questo disco di Herbie Hancock pubblicato nel 1964 ha la mia età, ma non è certo per questo che ne scrivo oggi. Empyrean Isles è il quarto disco in studio di Hancock ed è un altro di quei dischi che ha contribuito ad ampliare la grandezza del Jazz, imprimendo ulteriori traiettorie a ciò che in questo genere gli artisti a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta stavano compiendo, andando oltre quella coniugazione stilistica chiamata hard-bop (e soul-jazz): la svolta modale e free.
Non è difficile sostenere che Joni Mitchell, cantautrice (chitarrista e pianista), sia stata un’importante artista musicale. E lei ha reso omaggio a un colosso del Jazz, Charles Mingus, con un album pubblicato nel 1979 intitolato semplicemente Mingus. Un disco coraggioso che fu un fiasco commerciale; anche la critica giornalistica non fu munifica.
Ai più, il nome del pianista e compositore Alfred “McCoy” Tyner (scomparso il 6 marzo 2020) non dice nulla. Qualcosa dice agli appassionati di musica; moltissimo a quelli di Jazz. È stato colui che ha affiancato John Coltrane nel suo periodo più rilevante, dalla fine degli anni Cinquanta a metà dei Sessanta del ‘900. Tyner, dopo aver contribuito alla grandezza della musica di Coltrane (e lasciatolo alle sue fughe cosmic-free cui si sentiva avulso), ha quindi intrapreso una notevolissima carriera come leader di proprie formazioni, pubblicando molti dischi importanti; almeno per una decina di anni e perciò fin dopo la metà degli anni Settanta.
A volte l’emozione di alcune musiche porta un acuirsi dei sensi elementari. Un sottile fremito, deliziosa trepidazione; un po’ come gli animali quando sentono l’avvicinarsi di un terremoto. Impulsi primari.
Altre volte quei sensi si sopiscono, non si sta più in sorveglianza del quotidiano vivere, ci si lascia andare come quando si sta in viaggio di vacanza; si socchiudono gli occhi al sole e si conquista quel che si vede con un’attenzione a dettagli e sfumature di colori e luci che normalmente non si ha, e che fa sentire lo scorrere di quel tempo come onirico, sospensione della realtà opprimente di pericoli: estranei della nostra sorte e quindi beatamente rilassati. Sovente la musica di Pat Metheny sembra donare questa sensazione di viaggio… Pochissime, misuratissime note, suoni, per esprimere vibrazioni poetiche… Ho sempre pensato alla poesia come a un qualcosa di esiguo, di estremamente raffinato; sofisticato. Come un diamante magistralmente tagliato con le migliori proporzioni per irraggiare più luce possibile. Concludo questa sorta di trilogia di articoli (qui e qui) dedicati ai Perigeo con uno dei brani che preferisco: Nadir. È contenuto nel bellissimo disco Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere pubblicato nel 1973.
Composto dal pianista Franco D’Andrea, quasi quattro minuti di grande atmosfera, senza assoli, basati su un nucleo di solo quattro note; ma è un nucleo eccezionale, trattato in modo straordinario... La storia musicale dei Weather Report è tanto importante quanto di non agevole decifrazione. Questo è dato principalmente dalla natura prismatica della loro musica (strumentale e di radice jazz) e il loro mutevole percorso attraverso i sedici anni di attività (1971-1986); peraltro inserita in un periodo molto particolare della musica moderna. Sedici anni per altrettanti dischi pubblicati “in vita”, considerando l’ottimo Live In Tokyo del’72 distribuito solo in Giappone, incastonati nell’era del grande Rock (parallelamente a nascita e declino del Progressive), del Funk (con nascita e sviluppo della Dance), del Punk e della New Wave; e quindi il periodo dell’elettro Pop-Rock inglese. Altresì in quell’epoca il Jazz era in piena crisi (e regresso) e infine la parabola del Jazz-Rock e della Fusion, cui i WR furono tra i massimi esponenti.
La “trilogia elettrica” di Wayne Shorter risalente agli anni Ottanta è stata, ed è ancora, considerata poco e male. Poco e male sia in senso quantitativo (poco analizzata, quasi ignorata) sia qualitativo (stigmatizzata come sorta di abbaglio o inciampo). Wayne Shorter è un compositore-sassofonista (tenore e soprano) tra i più stimati e influenti in assoluto, membro del gruppo di Art Blakey nei primi anni Sessanta, ha avviato una carriera solista per poi parallelamente entrare a metà di quel decennio nel gruppo di Miles Davis, e fondare nel 1971 con Joe Zawinul i Weather Report (che nel 1986 cessarono le pubblicazioni).
C’è un artista che, pur essendo famosissimo e ormai riconosciuto diffusamente come un innovatore musicale, non ha ancora trovato la giusta collocazione nei libri di storia della musica. È ignorato o appena citato. Sovente, purtroppo, è il destino di chi ha un così tanto ampio arco di creatività da scavalcare i generi musicali, ibridarli in modo così originale da realizzare opere inusitate, difficili da considerare anche per gli addetti ai lavori. Astor Piazzolla (bandoneonista* e compositore), partendo dalla musica popolare della sua Argentina, ossia il Tango, ha sin dalla seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo innestato così tanto elementi di Jazz e Classica da provocare nel tradizionale Tango una rivoluzione tanto profonda che solo dopo che è scomparso (1992) in Argentina c’è stato finalmente un apprezzamento del suo genio.
Probabilmente qualche appassionato nel corso della sua carriera di ascoltatore si è domandato come mai i due mondi musicali Jazz e Rock siano stati e tuttora siano pochissimo comunicanti; il fenomeno investe entrambi i lati: hanno delle difficoltà l’uno verso l’altro, seppur per motivi diversi. Comunque il lato più estromesso è quello del rocker verso il Jazz; viceversa è più un disagio che un’esclusione.
Oggi viviamo un tempo di forti contaminazioni culturali, pertanto molte radici dei vari popoli si sono mischiate, innestate e sviluppate in folti rami. Tuttavia non solo fino a pochissimi decenni fa non era così, ma di certo non si può ancora affermare che le diversità e differenze culturali e artistiche si siano azzerate, omogenizzate in un super polpettone post moderno. In musica non è una mera questione di stile e superfici, ma al contrario qualcosa che va parecchio in profondità e indietro nel tempo.
Steely Dan, attivi discograficamente per nove anni dal 1972 al 1980 pubblicando sette opere*, è il nome che cela un duo di grandi songwriter statunitensi, Donald Fagen (voce e tastiere) e Walter Becker (chitarra e basso), innamorati della chitarra elettrica e del Jazz. Per i primi due dischi (Can't Buy a Thrill e Countdown to Ecstasy) era, in effetti, più un gruppo che un duo con session-man al loro servizio (alcuni di gran rango), come fu dal terzo disco (Pretzel Logic) in avanti.
Per il lato formale gli Steely Dan sono quasi sinonimo di alcune caratteristiche, mentre per quello musicale, a fronte dei molti influssi, piuttosto nebulosi: cerchiamo di chiarire. Avevo all’incirca venti anni quando m’innamorai di John Coltrane. All’epoca già suonavo da parecchio tempo e studiavo teoria da un po’, ma ero interessato ad altro, molto più vicino al Rock. Coltrane l’ho conosciuto a casa di un amico che ogni tanto faceva suonare un paio di dischi della sorella (che aveva qualche anno più di noi); poi logorai il nastro in cassetta che mi feci registrare da loro: sorta di antologia dei suoi brani più noti. Rammento che vi erano Dear John, My Favourite Things e Naima, i miei preferiti di allora; c’erano anche Giant Steps, Mr P.C., Acknowledgement, Blue Train, Afro Blue… Come resistere?!
L'approfondimento completo su Gabor Szabó è disponibile sul libro 📙 Eroi elettrici
L’8 marzo 1936 nasceva a Budapest il chitarrista ungherese Gabor Szabó. Una volta emigrato negli USA fu ingaggiato da Chico Hamilton (sostituendo Jim Hall), con cui da 1962 al ’66 registrò ben otto dischi prima di avviare una sua proficua carriera solista. Recentissimi studi indicherebbero che la percezione della pulsazione musicale ossia il battito primario di scansione regolare (beat) sia innata. Questo aiuta le persone a sincronizzare i loro movimenti l'un l'altro, cosa necessaria per ballare o produrre musica insieme. La rilevazione del battito richiede solo la misurazione della lunghezza tra un impulso e un altro e quindi questo mini ciclo è rappresentato nel cervello come modello base di un’aspettativa (pertanto una preconizzazione) invariante. Ciò consentirebbe non solo di percepire il battito, ma anche di costruire una rappresentazione del ritmo gerarchicamente ordinata (induzione metro).
In assoluto il Novecento ha visto la formidabile novità della figura dello strumentista che sale al proscenio “improvvisando” frasi musicali. E l’artista più importante di tutti è stato Louis Armstrong. Al netto di quello che poi nell’immaginario collettivo è divenuto e sedimentato (anche per molti “addetti ai lavori”), ovvero un curioso cantante dalla voce roca che ogni tanto suona la tromba (più precisamente era una cornetta all'inizio), se si vuol capire il solismo moderno bisogna far riferimento a lui.
Il percorso "teologico" di John Coltrane è un ritorno a un’origine, a una completezza, alla divinità bianca del primordiale rumore cosmico, che contiene tutto, in uno sprigionamento di incredibile energia. Numerose sono le tappe di questa sua corsa verso il primigenio universo, manifeste affabulazioni di un clamoroso incremento di suoni che si affastellano, prima con schemi matematico-geometrici (come in Giant Steps e A Love Supreme), poi sempre più furenti e quasi caotici (Ascension e Interstellar Space). Ma questa sua cosmogonia sonica passa anche attraverso altri tipi di brani, specie di antitesi di questi.
In America, si sa, l’ibridazione è di casa. E (segnatamente negli USA) uno degli esiti è stato la nascita nel Novecento del Jazz e del Blues. Successivamente è capitato che il Jazz e il Blues siano ulteriormente mutati fondendosi con altro; e tra loro. Sono sorti altri generi e stili pure alquanto popolari cantati e ballerecci (R&B, Soul, R'n'R, Funk), e una somma condensazione di ciò, prevalentemente strumentale e “di ascolto”, è stata la Fusion, che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 ha vissuto il suo parabolico decennio.
Tratto dal libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra Jim Hall è stato un chitarrista jazz apparso sulle scene alla metà degli anni Cinquanta, che gode di grande fama; tuttavia la sua figura nel firmamento dei grandi è stata un po’ intermittente, ma progressivamente si è elevata senza indugi: ormai è quasi un monumento. Nel primo periodo fu tenuto in ottima considerazione, in seguito (alba dei Sessanta), forse a fronte dell’avvento di Wes Montgomery (di tutt’altro stile), un po’ meno sugli scudi.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Aprile 2024
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