La grande novità della musica moderna fu l’originarsi all’alba del XX secolo della musica afroamericana: il Blues e il Jazz. Coevi e reciproci in termini di ascendenze e influenze.
Il Jazz è un sofisticatissimo esito di una costellazione di forme musicali come Worksong/Spiritual e Ragtime; a loro volta gli Spiritual sono influenzati dagli inni e canti sacri europei, e il Ragtime (col Cakewalk) da minuetti, polche e mazurche ottocentesche.
Laddove il Blues è un’individualistica semplificazione dei Worksong/Spiritual.
Ed ecco che, dopo il boogie-woogie anello di congiunzione col Jazz (che si tramutò decenni dopo in rock’n’roll) e il Gospel (di derivazione Spiritual), negli anni ’50 e ‘60 sorsero gli annessi e connessi del Blues: R&B e Soul. Che a loro volta genereranno dalla parte “nera” il Funk, e da quella “bianca” il Rock*.
Dunque si verificò una cesura: da un lato il Jazz (prevalentemente strumentale), dall’altro tutto il resto (prevalentemente cantato). Va da sé che ci furono pure ibridazioni di vario tipo.
Comunque, quel che fa la differenza sostanziale, oltre all’elementare parametro del ritmo**, sono le note.
Non tanto la quantità quanto la qualità, nel senso che nel Jazz vi è una ricchezza di relazioni strutturali e sovratrutturali sia melodiche sia armoniche non presenti negli altri generi e stili.
Ciò dipende dal fatto che nel Jazz è presente una sorta di emancipazione dal vetusto e classicheggiante concetto di dissonanza non praticata nelle altre musiche, con l’eccezione della limitatissima e schematicissima dissonanza blues***.
La dissonanza blues è ormai passata “in giudicato”: per l’abitudine di ascoltarla non è avvertita più come tale, almeno nel senso di percepirla come qualcosa di molto tensivo, cosa invece che oggettivamente è. Peraltro questa tipologia di dissonanza è solitamente associata, in modo erroneo, alle blue notes.
Altresì nel Jazz, nel corso dei decenni con i molteplici avvicendamenti e sovrapposizioni di stili, autori e solisti, si può riscontrare un duplice uso della dissonanza: quello più aggregante le forze attrattive delle note consonanti, e quello più dirompente, che disarticola il normale flusso. Dunque il primo più fluido e rapido (Charlie Parker, Pat Metheny…), il secondo più spigoloso e scolpito (Theolonius Monk, John Scofield…).
In tutti gli altri generi per ottenere effetti similari, ossia di tensioni e contrasti che generano dinamiche energetiche e orbite gravitazionali dei suoni, si fa perlopiù ricorso ad altro.
A interpretazioni espressive delle melodie; pertanto soprattutto di chi canta, quindi personalizzazioni (oltre che ovviamente per il timbro di ognuno diverso) tramite articolazioni e accenti dinamici.
Sonorità; pletore di timbri che si succedono e/o sovrappongono**** e volumi d’impatto. Velocità.
Groove ritmici; esplicitati da strumenti percussivi e/o riff fondati sul backbeat.
Dunque il Jazz fa poco ricorso a questi fattori e punta più sulle interrelazioni di note per creare le tensioni dinamiche di energie e intensità necessarie per avvincere l’ascoltatore, per converso gli altri generi fanno più uso di groove ritmici, sonorità ecc. che alle note.
Insomma, il Jazz virato su elementi strutturali, più necessitanti di attenzione, gli altri generi su quelli sovrastrutturali, di più immediato effetto.
*Parallelamente sorse pure la cosiddetta musica elettronica: capitolo a parte della grande avventura musicale, basata, oltre che ovviamente su strumenti elettronici, su cellule musicali reiterate quasi ipnotizzanti.
** Il ritmo nel Jazz (oltre a essere costantemente terzinato) non ha esplicitamente il backbeat, cioè i fortissimi accenti sul secondo e quarto movimento del 4/4, mentre negli altri generi e stili è costantemente espresso.
*** La dissonanza principale è quella cromatica tra la terza maggiore dell’accordo e la terza minore delle frasi melodiche; in subordine (essendo più di passaggio) vi sono pure quella tritonica e cromatica che si instaurano tra la fondamentale e la quinta dell’accordo e le transizioni melodiche.
**** Talvolta è il contrario, come per l’Heavy Metal, pochissimi timbri “identitari”.