Questo ramo lo si conosce già, e da allora non ha avuto novità fondamentali. Qui, invece, si vogliono rammentare le più importanti radici e ramificazioni dell’albero dei maestri chitarristi che sin dall’inizio dell’elettrificazione fino ai nostri tempi, pur essendo quasi sconosciuti ai più, hanno amalgamato creativamente due cardinali linguaggi: quello jazzy (sofisticato e verboso) e quello bluesy (stringato e incisivo).
Charlie Christian (sul finire degli anni ’30) fu il primo che muovendosi dalla formidabile, geniale e omnicomprensiva lezione di Django Reinhardt la mescola col carattere e lessico bluesy, fondando il linguaggio basilare per i chitarristi jazz dell’avvenire...
Christian peraltro si ispira ai fiatisti, a quelli che “cantano” di più, come Lester Young: suona meno note rispetto al geniale Reinhardt, tralascia molte delle sue soluzioni, sintetizzando quel che la chitarra allora col suono amplificato permetteva in quanto ad articolazione e sostegno sonico, in un idioma ricco e marcato allo stesso tempo.
Il suo più grande erede fu Wes Montgomery: tra la fine dei ’50 e i ’60 sviluppò ulteriormente questo linguaggio rinnovandolo anche con nuove tecniche (thumb-pick, linee melodiche a ottave, block-chords…).
Può giovare un’annotazione di carattere “grammaticale”: l’invalso Blues (da quello di Robert Johnson, Muddy Waters ecc. a quello di BB. King, Clapton ecc.) si avvale di poche e cicliche armonie accordali (3-4 accordi che si ripetono), quasi sempre di carattere maggiore e modulanti, cioè nella convenzionale teoria non appartenenti alla medesima tonalità; dunque un pezzo blues a rigore è multi scalare. Tuttavia le melodie e le conseguenti improvvisazioni, invece di essere strutturalmente sinuose e complesse, sono semplici e scolpite. Infatti, quasi sempre è usata solo una scala, peraltro nemmeno eptatonica (7 note), ma pentatonica (5), a volte con l’aggiunta di una nota (scala blues), massimo due, di passaggio.
La procedura è elementare: per esempio, un blues in DO è fondamentalmente costituito da tre accordi, il primo, appunto DO (I grado), poi FA e SOL (e quindi IV e V).
Convenzionalmente si dovrebbe suonare mediante la scala maggiore di DO. Invece, tramite la scala pentatonica minore (e/o la blues con la nota in più), DO-MIb-FA-(SOLb)- SOL-SIb (e poi DO), le note che si sovrappongono all’accordo matrice (I) sono diminuite di un semitono, a parte la tonica: MIb e SIb, talvolta il SOLb. Si ha così un sapore di sonorità di settima dominante (DO7). Anche sul FA si sovrappone la settima minore (in luogo della convenzionale maggiore) ossia nota MIb; il SOL è naturalmente accordo dominante (SOL7). Tanto che quasi sempre si suonano direttamente accordi di settima dominante (e per questo sarebbe una sequenza modulante).
Quel che Christian e Montgomery hanno fatto è stato condensare la semplice cantabilità bluesy con la ricchissima lezione lessicale jazz, multi scalare/arpeggi e quant’altro estendendo e incrementando quel che la pentatonica minore (e blues) fa con l’accordo matrice con tutti gli altri della sequenza e in modo differente; non si sono limitati a trasportare quelle alterazioni, ma ne hanno intessute di altre, molto raffinate, relazionandole alla matrice armonica.
E quel che hanno ulteriormente compiuto Carlton, Scofield e gli altri è stato coniugare tutto ciò con l’estrema incisività e liricità del rock-blues: pertanto usare le risorse lessicali (armonico-melodiche) jazz con la lezione ultra penta-lirica di Clapton, Hendrix ed epigoni tramite la chitarra elettrica con suoni distorti. Meraviglie musicali del ‘900...
* Seppur attivi tutti e due sin dai primi anni Settanta, Carlton s’imporrà prima a fronte di una maturità conseguita subito (pure perché di qualche anno più anziano), poi emergerà maggiormente Ford.
Altri due articoli sull'argomento:
Il Blues e la chitarra elettrica distorta
Il Blues delle origini: ridotto e semplificato per il successo di massa
Tutti i chitarristi citati nell'articolo sono presenti nel mio libro Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra.