C’è un artista che, pur essendo famosissimo e ormai riconosciuto diffusamente come un innovatore musicale, non ha ancora trovato la giusta collocazione nei libri di storia della musica. È ignorato o appena citato. Sovente, purtroppo, è il destino di chi ha un così tanto ampio arco di creatività da scavalcare i generi musicali, ibridarli in modo così originale da realizzare opere inusitate, difficili da considerare anche per gli addetti ai lavori. Astor Piazzolla (bandoneonista* e compositore), partendo dalla musica popolare della sua Argentina, ossia il Tango, ha sin dalla seconda metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo innestato così tanto elementi di Jazz e Classica da provocare nel tradizionale Tango una rivoluzione tanto profonda che solo dopo che è scomparso (1992) in Argentina c’è stato finalmente un apprezzamento del suo genio.
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Il primo disco degli Area che ebbi (e che ascoltai) fu Crac. Mi ricordo che oggi come allora era estate, forse del 1980. Loro mi attraevano moltissimo, erano complicati… Però un paio di brani di Crac (o meglio, uno e mezzo) mi sembravano come dei qualsiasi pezzi rock: Gioia e Rivoluzione e la seconda parte de La Mela di Odessa. Non a caso sono in assoluto tra i loro brani più famosi. Gioia e Rivoluzione non mi attirava musicalmente, troppo canzoncina, però “La mela” sì!
Il suo riff mi stregava, tante note (23) ma così cantabile… E siccome ero nell’adolescenza anche per quanto riguardava lo studio musicale, pensai bene di misurarmi con quello che percepivo alla mia portata: mi sbagliavo. Poco ci mancò di esser travolto dalla delusione di non esser stato capace di trascriverlo ed eseguirlo correttamente, di lasciar stare lo studio... Questo post è un addendum al precedente articolo sull’armonia in cui è citato Allan Holdsworth, tanto per dare un piccolo riferimento sostanziale volto a mostrare come spesso le cose creative non sono solo teoriche, futuribili, esiti di speculazioni e agognate realtà, ma già compiute in questo tempo, appena passato, ovvero nella nostra era; senza indicare necessariamente Listz o Debussy… In piena seconda ondata british, quella elettro-pop degli anni Ottanta, Holdsworth nel 1986 pubblicò un disco “strano”, Atavachron.
Lo strumento musicale più diffuso in Occidente è la chitarra e lo è per vari motivi: tra i più importanti è che essa permette di produrre armonie, accordi, cioè due o più note contemporaneamente. Quella armonica è la dimensione musicale più complessa sia a livello percettivo sia cognitivo ovvero il suo concepimento e realizzazione; d’altronde basta eseguire qualche accordo uno dietro l’altro imparato alla buona su uno strumento da poche decine di euro e fischiettare un motivetto per fare già musica alquanto articolata. Noi occidentali diamo per scontato questo aspetto, ma nel resto del mondo così non è; la musica armonica è una nostra prerogativa, le altre civiltà, che siano orientali o africane, hanno generato musiche prettamente melodiche e ritmiche.
Probabilmente qualche appassionato nel corso della sua carriera di ascoltatore si è domandato come mai i due mondi musicali Jazz e Rock siano stati e tuttora siano pochissimo comunicanti; il fenomeno investe entrambi i lati: hanno delle difficoltà l’uno verso l’altro, seppur per motivi diversi. Comunque il lato più estromesso è quello del rocker verso il Jazz; viceversa è più un disagio che un’esclusione.
La forma offre un elemento identificativo stabile della realtà, infatti spesso di questa tendiamo a prenderne possesso proprio attraverso la percezione della forma; la nostra pulsione è definirne i contorni. Tendiamo perciò ad avvertire la forma per la sua funzione regolatrice. A volte, più o meno consciamente, non comprendiamo una forma ma sentiamo che c’è, per noi è indefinita e quindi ci sfugge, tuttavia non avvertiamo disordine, perché c’è...
E’ noto che il tempo lo misuriamo mediante ciclicità, che sia quella dell’arco di un giorno, delle stagioni o delle lancette di un orologio… E quando si tratta di musica più o meno tutti hanno sentito dire “questo pezzo è in 4/4”, e a cosa sia riferito molti lo hanno intuito, ovvero al tempo musicale. È chiamato metro*. Il metro è il conteggio degli intervalli simmetrici del tempo (battiti) a cui lo scorrere musicale è ineluttabilmente correlato; indica quanti siano quelli raggruppati (nel modo più semplice e logico) in una “scatolina” chiamata misura (o battuta). Ciò si determina dal periodare degli accenti insiti nel ritmo, sovente dalle parti cicliche di un groove di batteria o di un riff di chitarra o basso.
Come tutti ebbi il primo contatto con la musica attratto dal vitale pulsare ritmico; la sincronizzazione del corpo e della mente a quel particolare frazionamento del tempo: tanto elementare quanto irresistibile. Molte persone in seguito attirate più dai motivi melodici. Io mica tanto... Nella mia camera, accanto alla chitarra classica che volli acquistare e che strimpellavo nell’estate del 1978, avevo già dei sontuosi quanto pesanti e ingombranti bonghi che con pari abilità della chitarra malamente sbatacchiavo, “andando appresso” ai dischi che ascoltavo in quei primi anni di meravigliose esperienze musicali.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Ottobre 2024
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