Jimi Hendrix, Jimmy Page e Carlos Santana; con loro sono nato. E cresciuto.
Dunque pienamente rock; poi una valanga di altri.
Il Jazz è arrivato parecchi anni dopo, principalmente mediante la Fusion (e il Jazz-Rock), ossia capii che per comprendere e suonare la musica dei miei nuovi eroi (i chitarristi erano i soliti McLaughlin, Di Meola, Scofield, Benson, Ford, Henderson ecc.) avrei dovuto studiare seriamente il Jazz.
Fu assai dura; non è come per suonare il Rock, il cui lessico è banale: scala Pentatonica, scala Maggiore con la sua derivata Minore, punto.
Basti pensare che in pratica nel Rock di base si escludono 5 note sulle 12 a disposizione (scala Cromatica), privilegiandone solo 5 (scala Pentatonica) delle 7 prese in considerazione (scala Maggiore).
È sufficiente ciò per suonare i brani rock, anche perché nella stragrande maggioranza dei casi sono armonicamente così semplici che basta adottare una scala per tutto il pezzo.
Praticamente agli antipodi il Jazz; ma all’inizio mi illusi di aver trovato perlomeno una scorciatoia*, per il lunghissimo cammino che già sapevo mi attendeva.
La scorciatoia per ottenere un convincente linguaggio jazzy era tramite i libri della serie “Play-A-Long” di Jamey Aebersold e “How to play BeBop” di David Baker, nei quali c’erano messe nero su bianco le scale Bebop associate alle varie tipologie di accordi base.
Ecco il segreto di quelle frasi così ricche e articolate che non comprendevo assolutamente da dove provenissero!
(In precedenza avevo provato con la scala Cromatica, ma i risultati erano affatto insufficienti.)
Fondamentalmente sono tre scale, una per ogni specie di accordo inerente l’armonizzazione della scala diatonica: maggiore settima, minore settima e settima dominante. Quindi scala maggiore bebop, minore bebop e dominante bebop.
Peraltro c’è una facilitazione non di poco conto: sono derivate direttamente da quelle diatoniche (Ionica, Dorica e Misolidia), basta aggiungere una nota, ottenendo così un mirato cromatismo.
La teoria propalata specialmente negli ultimi decenni, l’idea semplificata sottostante a queste scale, è quella che, essendo sequenze di 8 intervalli, alternano un suono dell’accordo cui si riferisce con un suono della scala (o il cromatismo aggiunto). Suonando in ottavi, si avranno in questo modo i suoni dell’accordo in battere e i suoni della scala (o il cromatismo aggiunto) in levare.
Dunque le imparai, ma appena approfondii un po’ la questione mi resi conto che per suonare il Jazz o semplicemente qualche moderna e colta frase in scia ai miei musicisti preferiti le cose erano ben più complicate.
D’altronde suonare pedissequamente quelle scale, peraltro in sequenza e meccanicamente battere/levare, non si ottiene qualcosa di fantasioso - men che mai creativo – ma solo qualcosa di vagamente simile alle musiche dei bopper.
Altresì mi resi conto pure di alcune significative incongruenze, che incredibilmente ancor oggi persistono: la struttura della scala maggiore bebop non fa corrispondere quel ragionamento di note alternate dell’accordo di riferimento; e la scala minore bebop per alcuni didatti e libri ha una struttura per altri una diversa, non coincidono.
Facendo la tara all’inattendibilità storica nel caso di specie (i grandi bopper facevano ben altro), a volte fanno comodo metodi rapidi e sbrigativi per raggiungere determinati obiettivi, ma che almeno siano coerenti e inequivocabili.
* All’epoca non c’erano le scorciatoie dei video tutorial su Youtube registrati da volenterosi appassionati, dove fanno vedere passo-passo come realizzare l’imitazione di qualche assolo dei vari beniamini, o lick e pattern (frasi fatte) relativi a determinati stili, affinché con poco sforzo cognitivo si ottenga qualche soddisfazione. Comunque dalla metà degli anni Ottanta cominciarono a circolare delle videocassette didattiche realizzate direttamente dai protagonisti musicali, specialmente nell’ambito Fusion.