A livello stilistico discende dalla scuola gillespiana, da Clifford Brown, Lee Morgan, Freddie Hubbard (non dimenticando il pre-bopper Roy Eldrige), ovvero coloro che hanno fatto soprattutto della netta velocità di pronuncia la loro tecnica prediletta: di questi è il punto apicale.
Ha un fraseggio vertiginoso su tempi rapidissimi e non (talvolta raddoppiando e triplicando tempi medi), staccati e glissati impressionanti, con un timbro pieno e perfettamente controllato, suona ampissimi archi melodici: prodigiosi. In ogni caso non difetta in lui la capacità e la sensibilità espressa mediante una enorme plasticità dinamica, timbrica e ritmica, nel piegare le note in mille sfumature (un po’ davisiane) che permettessero un’espressione raffinatissima anche in brani romantici, in ballad, o in repentine e sorprendenti decelerazioni nel bel mezzo d’improvvisazioni serrate, pertanto con straordinarie inflessioni.
I primi dischi sono di ottima fattura anche a livello compositivo ("Black Codes (From the Underground)" dell’86 il suo capolavoro), riprendendo la lezione dell’ultimo quintetto di Miles Davis (quello dei ’60 con Shorter ed Hancock): seppur più macchinoso e schematico del suo modello, anche in questo caso ha offerto vari spunti di originalità. L’ultimo colosso del Jazz.