Invece questa fase di passaggio per i grandi artisti è non raramente una condizione di grande fermento creativo e importanti realizzazioni.
Un plastico esempio è dato dai Weather Report con il loro quarto disco in studio Mysterious Traveller (1974).
Con la locuzione “opera di transizione” spesso s’indica qualcosa di più bassa qualità del solito, di un po’ confuso, incompiuto: la parola transizione come sintesi rappresentativa di una crisi.
Invece questa fase di passaggio per i grandi artisti è non raramente una condizione di grande fermento creativo e importanti realizzazioni. Un plastico esempio è dato dai Weather Report con il loro quarto disco in studio Mysterious Traveller (1974).
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Gli appassionati di musica dell’età aurea del Rock (all’incirca da metà dei Sessanta a metà Settanta) conoscono perlomeno nominalmente il gruppo Gong.
Molti tramite la cosiddetta trilogia Radio Gnome Invisible pubblicata nel biennio ‘73-’74, comprendente Flying Teapot, Angel’s Egg e You. Daevid Allen, chitarrista (occasionalmente bassista), cantante e compositore, li fondò (insieme alla cantante e autrice Gilli Smiyth) subito dopo esser fuoriuscito da nucleo originario dei Soft Machine (senza esser presente nel loro album di esordio del 1968). Sì, country-bluegrass + bebop + classica + hard rock = Steve Morse.
Sì, scrivo ancora di un chitarrista; perché sono un chitarrista. Sì, perché non c’è un’altra categoria di musicisti che annovera così tanta propensione alla fusione di generi e stili. Così tanti compositori e/o titolari di dischi crossover che hanno innalzato il tasso qualitativo musicale, facendo ancor più grande la musica. Sono un chitarrista pure per questo. In musica l’uso della velocità c’è sempre stato, tuttavia mai come in questi nostri tempi.
L’avvento del web, di Internet e Youtube coi video che possono (chiunque sia l’autore) guardare milioni di persone, ha fortemente contribuito a esacerbare ciò. L’esagerato accento sull’individualismo strumentistico basato su esecuzioni particolarmente rapide ha contribuito a una pressoché totale aridità di proposte compositive di significativa qualità, ossia creatività. Naturalmente l’elemento visuale aumenta l’aspetto di mero intrattenimento del pubblico, facendo trascurare il resto che davvero conta in musica: vedere il “gesto” accresce notevolmente l’effetto dell’esecuzione in sé anche in termini puramente e brutalmente velocistici; e, soprattutto, distrae dal contenuto. Tutti hanno i loro brani musicali preferiti, quindi pure io.
La cosa particolare è che presto ho scoperto che tra i tantissimi pezzi che via via ascoltavo, dalla mia adolescenza in poi, le mie preferenze non di rado avevano un denominatore comune che andava oltre gli autori, i generi e gli stili musicali. Dapprima e soprattutto ho amato Black Napkins, A Night in Tunisia e Nardis (di Frank Zappa, Dizzy Gillespie e Miles Davis): un’attrazione che le decadi di anni trascorse non ha indebolito, è ancora potentissima. Ero un ragazzino con qualche brufolo e un incipiente mal adattamento scolastico all'indirizzo scelto per la scuola superiore quando ascoltai per la prima volta John McLaughlin: ne rimasi, naturalmente, molto colpito. Quasi mi stordiva la sua aggressiva velocità e reticolare complessità.
Alle profonde cause della sua grandezza giunsi molto più tardi, e molto faticosamente. “Incontrai” tale gigante, né rock né di facile ascolto, sia per la sua “fratellanza” con Devadip Carlos Santana sia per la sua gran reputazione; ovviamente attraverso i dischi del suo gruppo Mahavishnu Orchestra ma pure quelli solisti quali Extrapolation (1969), My Goal’s Beyond (1971) ed Electric Guitarist (1978)*. Tutte opere straordinarie, per specifici motivi differenti, correlate però da un’eccezionale creatività (e abilità esecutiva). Spectrum di Billy Cobham è tra i dischi strumentali più famosi; di matrice jazz-rock, fu pubblicato nel 1973.
Soprattutto apprezzato dagli ascoltatori rock in virtù di una certa facilità di ascolto data da semplicità e linearità dei temi e dei ritmi, insieme con un’esplosiva energia, a volte aggressiva, data, oltre che da Cobham, dal grande tastierista Jan Hammer e dal chitarrista Tommy Bolin: sono i solisti principali. Eberhard Weber è un musicista (primariamente contrabbassista e bassista) e compositore tedesco, attivo come leader di dischi nei primi anni Settanta per la casa discografica ECM, divenendo anche per ciò collaboratore di tanti compositori pubblicati da questa prestigiosa etichetta (Pat Metheny, Jan Garbarek, Gary Burton e molti altri).
Correva l’anno 1972, anno mirabilis per la musica italiana, e venne pubblicato Azimut, il disco di esordio dei Perigeo; creatura del bassista e compositore (ed episodicamente alla voce) Giovanni Tommaso.
Come già evidenziato, i Perigeo è un gruppo Jazz-Rock alquanto raffinato, non di rado atmosferico, a volte addirittura un po’ onirico; quindi parecchio meno aggressivo, provocatorio e virato sulla velocità e virtuosismi dei colleghi Area. Più di 42 anni fa fu pubblicato un disco di Bill Bruford poco conosciuto ma di gran valore: Gradually Going Tornado. Registrato nell’estate del 1979 e nei negozi nel febbraio 1980; è la terza e ultima sua opera in studio col suo eccellente gruppo Bruford.
Magma è il nome di un eccezionale gruppo francese: poco conosciuto in Italia.
Fondato e capeggiato dal batterista-compositore (occasionalmente cantante, tastierista e percussionista) Christian Vander. Batterista straordinario, non apprezzato quanto merita, forse anche perché, a cominciare dal mix del suo strumento alle parti che idea ed esegue, mai egotico (strumentalmente), sempre al miglior servizio dei brani nel loro insieme: un vero compositore e leader. Un disco epocale, di uno straordinario bassista che contribuì eccezionalmente alla reputazione e allo sviluppo, già crescente, del basso elettrico; Pastorius ci riuscì per vari motivi, non tutti inerenti alla pura musica.
Jaco Pastorius fu pubblicato nel 1976; dunque lo stesso anno del celebre “Black Market” dei Weather Report, cui sostituì un altro fenomenale bassista, Alphonso Johnson: Pastorius suonò in due soli brani, ma si mise così tanto in luce che appunto il suo disco solista fu subito “recuperato” e da lì in poi la sua fama fu in esponenziale aumento. Miles Davis, si sa, è un artista straordinario; per molti motivi. Ce ne è uno che è parecchio peculiare e che è poco noto.
Davis si differenziò ulteriormente da tutti gli altri perché fece una scelta radicale già sul finire degli anni Sessanta: conclusasi dopo alcuni anni e alcuni stupendi dischi la meravigliosa esperienza del famoso quintetto (Shorter, Hancok, Williams e Carter), si immerse totalmente nella musica modale, e non ne uscì più. Il ruolo del bassista è sempre stato un po’ oscuro. Si sa che di solito esegue una nota alla volta nella bassa e medio-bassa tessitura musicale (da circa 40Hz a 160 Hz di frequenza), quindi delle brevi linee melodiche.
A volte del brano musicale marca quasi pedissequamente le note fondamentali degli accordi che si susseguono, sovente doppiando il ritmo della cassa della batteria, altre traccia una linea melodica più complessa, altre ancora un vero e proprio motivo-riff. Moltissimi ancora confondono il genere musicale Jazz-Rock con il Progressive*. Solitamente la distinzione di massima è che il Progressive sarebbe un complicato genere cantato e il Jazz-Rock** un complicato genere strumentale.
Questa grossolana ripartizione produce ovviamente malintesi e disguidi, per esempio diffusamente si considerano i jazz-rocker Area (addirittura anche i Perigeo) come un gruppo che ha fatto musica progressive perché sono intricati e hanno parti cantate. Penso che molti come me abbiano nel proprio cuore e nella propria mente alcuni dischi per peculiarità che sono percepite caratterizzanti: qualcuno in modo romantico, energico o complicato o… astratto. L’album Weather Report, il loro primo del ‘71, è il mio disco di astrazione... Musica ineffabile perché sembra senza forma, fluida; come suoni un po’ casuali e quindi non prevedibili, aleatori…
Però attenzione, l’astratto musicale in Weather Report non attiene semplicemente a rarefazione sonica con sospensione del parametro più elementare che collega tutti noi, ossia il ritmo: solo due brani, Milky Way e Orange Lady, non hanno scansioni percussive, e i rimanenti sei sono pure parecchio propulsivi ritmicamente. Pochissime, misuratissime note, suoni, per esprimere vibrazioni poetiche… Ho sempre pensato alla poesia come a un qualcosa di esiguo, di estremamente raffinato; sofisticato. Come un diamante magistralmente tagliato con le migliori proporzioni per irraggiare più luce possibile. Concludo questa sorta di trilogia di articoli (qui e qui) dedicati ai Perigeo con uno dei brani che preferisco: Nadir. È contenuto nel bellissimo disco Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere pubblicato nel 1973.
Composto dal pianista Franco D’Andrea, quasi quattro minuti di grande atmosfera, senza assoli, basati su un nucleo di solo quattro note; ma è un nucleo eccezionale, trattato in modo straordinario... Quasi sempre le cose musicologiche sono più notevoli e interessanti quando si verificano contaminazioni tra generi. Poi se i generi in ballo differiscono parecchio, come il Jazz e il Rock, e se queste mescolanze accadono nello stesso periodo in modo tanto diffuso quanto distinto l’una dalle altre, andando così a scrivere capitoli fondamentali della storia della musica moderna, ecco che la questione assume una dimensione superiore. E i Perigeo (gruppo italiano di Jazz-Rock attivo nei ‘70) è l’altra faccia della medaglia di quei gruppi che a cavallo tra i Sessanta e i Settanta hanno contribuito a rendere il Rock un autorevole laboratorio di formidabili ibridazioni musicali: Cream, Colosseum, Soft Machine e King Crimson (tanto per citare i primi e tra i più famosi e influenti del panorama europeo) hanno dal versante rock “guardato” parecchio all’americano Jazz.
Di quel gran gruppo nostrano di Jazz-Rock chiamato Perigeo mi innamorai sin da ragazzino; successivamente l'ho amato in modo adulto e più consapevole. E proprio per questo mi ha fatto molto piacere vedere una recentissima pubblicazione della prima monografia a loro dedicata: il più importante gruppo italiano di musica strumentale. E seppur visto immediatamente che l’impianto del libro corrispondeva per circa tre quarti di aneddotica varia (biografie e interviste) e solo per un quarto alla descrizione dei brani dei loro dischi (peraltro non molto tecnica), l’ho acquistato senza indugio.
La storia musicale dei Weather Report è tanto importante quanto di non agevole decifrazione. Questo è dato principalmente dalla natura prismatica della loro musica (strumentale e di radice jazz) e il loro mutevole percorso attraverso i sedici anni di attività (1971-1986); peraltro inserita in un periodo molto particolare della musica moderna. Sedici anni per altrettanti dischi pubblicati “in vita”, considerando l’ottimo Live In Tokyo del’72 distribuito solo in Giappone, incastonati nell’era del grande Rock (parallelamente a nascita e declino del Progressive), del Funk (con nascita e sviluppo della Dance), del Punk e della New Wave; e quindi il periodo dell’elettro Pop-Rock inglese. Altresì in quell’epoca il Jazz era in piena crisi (e regresso) e infine la parabola del Jazz-Rock e della Fusion, cui i WR furono tra i massimi esponenti.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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