Di norma sono linee molto rapide impiegate negli assoli, declinate differentemente secondo i generi: più articolate e tensive nel Jazz e Fusion, più aggressive timbricamente e spesso parecchio funamboliche (shredding) nel Rock e dintorni (contemplando pure l’uso di registri assai alti e talvolta device meccanici - leva vibrato - o elettronici).
Chop, in inglese “taglio”, nel gergo musicale una frase musicale particolarmente incisiva, di grande effetto.
Di norma sono linee molto rapide impiegate negli assoli, declinate differentemente secondo i generi: più articolate e tensive nel Jazz e Fusion, più aggressive timbricamente e spesso parecchio funamboliche (shredding) nel Rock e dintorni (contemplando pure l’uso di registri assai alti e talvolta device meccanici - leva vibrato - o elettronici).
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Sì, country-bluegrass + bebop + classica + hard rock = Steve Morse.
Sì, scrivo ancora di un chitarrista; perché sono un chitarrista. Sì, perché non c’è un’altra categoria di musicisti che annovera così tanta propensione alla fusione di generi e stili. Così tanti compositori e/o titolari di dischi crossover che hanno innalzato il tasso qualitativo musicale, facendo ancor più grande la musica. Sono un chitarrista pure per questo. In musica l’uso della velocità c’è sempre stato, tuttavia mai come in questi nostri tempi.
L’avvento del web, di Internet e Youtube coi video che possono (chiunque sia l’autore) guardare milioni di persone, ha fortemente contribuito a esacerbare ciò. L’esagerato accento sull’individualismo strumentistico basato su esecuzioni particolarmente rapide ha contribuito a una pressoché totale aridità di proposte compositive di significativa qualità, ossia creatività. Naturalmente l’elemento visuale aumenta l’aspetto di mero intrattenimento del pubblico, facendo trascurare il resto che davvero conta in musica: vedere il “gesto” accresce notevolmente l’effetto dell’esecuzione in sé anche in termini puramente e brutalmente velocistici; e, soprattutto, distrae dal contenuto. Come per la chitarra nessuno strumento ha avuto così tante e diverse declinazioni nei vari generi e stili.
Storicamente, così tanti strumentisti diversi tra loro sia in assoluto sia all’interno di un genere come per i chitarristi non si riscontrano; e ciò che fa più impressione, almeno a me, è nel Jazz. E non soltanto nell’aspetto più evidente, quello timbrico, ma proprio nel linguaggio. Ancorché intorno agli anni 2000 si sia delineata una certa direzione nell’improvvisazione: l’influenza solistica di Pat Metheny, che pure prima era fortissima, prevale su tutte. Ero un ragazzino con qualche brufolo e un incipiente mal adattamento scolastico all'indirizzo scelto per la scuola superiore quando ascoltai per la prima volta John McLaughlin: ne rimasi, naturalmente, molto colpito. Quasi mi stordiva la sua aggressiva velocità e reticolare complessità.
Alle profonde cause della sua grandezza giunsi molto più tardi, e molto faticosamente. “Incontrai” tale gigante, né rock né di facile ascolto, sia per la sua “fratellanza” con Devadip Carlos Santana sia per la sua gran reputazione; ovviamente attraverso i dischi del suo gruppo Mahavishnu Orchestra ma pure quelli solisti quali Extrapolation (1969), My Goal’s Beyond (1971) ed Electric Guitarist (1978)*. Tutte opere straordinarie, per specifici motivi differenti, correlate però da un’eccezionale creatività (e abilità esecutiva). A volte mi è capitato di ascoltare o leggere da parte di qualcuno che vuole affermare il valore musicale dei suoi beniamini (spesso in contrapposizione a giudizi altrui, di solito ben argomentati), che l’unica discriminante sia suonare la note giuste (o i colpi nel caso di batteristi-percussionisti) nei momenti giusti e con le giuste tecniche, il resto non conta.
Questo tipo di espressione non ha alcuna sostanza, nessun fondamento né pratico né teorico. È usata da chi non sa argomentare musicalmente per obiettare. Ciò anche per tre logici, decisivi, motivi. In assoluto la bellezza/bruttezza dei suoni in musica non esiste.
Pertanto anche la bellezza/bruttezza del suono di uno strumento o espressa da uno strumentista. Ed essendo un chitarrista elettrico, la categoria in cui è più diffusa la morbosa ricerca dei “bei suoni”, so bene che è piuttosto delicata la questione. Ciò che è fuorviante è l’aggettivo bello (o brutto). L’altra sera a cena, parlandone brevemente con un amico (grande appassionato di musica, specialmente jazz-fusion), mi è venuto in mente che di quel disco-incontro di due apprezzatissimi artisti, ancorché ne avevo fatto tesoro, non ne avevo mai scritto una riga.
I Can See Your House from Here è il nome* del disco pubblicato nel lontano 1994 (registrato dicembre 1993) dai chitarristi-compositori John Scofield e Pat Metheny. È particolarmente interessante per vari motivi. Hendrix, Page, Santana e McLaughlin: cos’è che li connette? Qual è la caratteristica che li rende parenti?
Certamente sono quattro chitarristi fuoriclasse e leader di altrettanti gruppi che “hanno fatto la storia”, e non volgarmente nel senso che hanno avuto successo, bensì che hanno grandemente influenzato la moderna storia musicale nella sostanza, negli specifici contenuti. A volte mi è stato chiesto: è possibile stabilire la qualità tecnica di un’esecuzione di un brano o di un gruppo o di singoli musicisti?
Sì, certo. Flat Out di John Scofield, pubblicato nell’estate del 1989, è un disco da 5 stelle.
Di solito a questi rozzi sistemi, usati dalla comune pubblicistica per le valutazioni qualitative delle opere, sono accostati testi con descrizioni vaghe e asserzioni cariche di aggettivi cui non sono correlate oggettive cause; spesso sono solo effetti delle sensazioni suscitate in chi ne sta scrivendo. Dunque quei giudizi di valore sono inattendibili. Copernico, Darwin, Freud e Metheny. Cosa lega i tre giganti del pensiero umano e quello della musica moderna?
I primi tre sono legati dal fatto che hanno provocato epocali ridimensionamenti dell’antropocentrismo. Con Copernico la grande casa dell’uomo, la Terra, è spostata dal centro della volta celeste alla periferia. Con Darwin non siamo più figli unici di Dio ma fratelli delle scimmie. Con Freud addirittura non siamo nemmeno (perlomeno interamente) padroni di noi stessi, il nostro Io è esiliato. Genio nella musica rock è quasi sinonimo di Frank Zappa. Un sostantivo attribuito a lui sin dai suoi esordi circa mezzo secolo fa: a fronte di musiche geniali? Non lo so, forse…
D’altronde poco o nulla è spiegato dalla pubblicistica di allora e da quella successiva; quindi gli ascoltatori che pensano che Zappa sia un genio musicale non sanno perché, nemmeno astrattamente. Però di fronte a un personaggio così palesemente trasgressivo tout court ed enciclopedicamente eclettico non hanno grossi dubbi che Zappa sia geniale davvero. L’anniversario della pubblicazione di Speaking in Tongues (31 maggio 1983), quinto disco dei Talking Heads, offre l’occasione per mettere un po’ a fuoco questo gruppo (e il suo leader David Byrne) che, dopo la pubblicazione dei primi due album, fu tanto apprezzato e che quindi parecchio influenzò altri artisti.
Musicante, pubblicato il 18 maggio 1984, è il sesto disco di Pino Daniele, che anticipa solo di quattro mesi Sció live il suo primo album dal vivo (doppio)*.
È noto che il secondo disco dei King Crimson In The Wake Of Poseidon uscito solo sette mesi dopo quello di esordio (In The Court Of The Crimson King) è stato concepito e realizzato tra dissapori all’interno del gruppo; con Greg Lake, Mike Giles e Ian McDonald in via di uscita (abbandonarono dopo la registrazione del disco)*.
Avrò avuto suppergiù 14 anni quando ascoltai per la prima volta The Wind Cries Mary, e mi piacque subito, come a milioni di ascoltatori prima di me. La sensazione che ebbi fu di una canzone dolce ma forte, vigorosa e non smielata. E continuò a offrirmi questa impressione, sempre. Anche oggi è così. Già sapevo chi fosse Jimi Hendrix, la sua enorme fama e stima presso quelli più grandi di me che ci capivano di musica… D’altronde in quei tempi stavo imparando a suonare la chitarra, tentavo di informarmi e di Hendrix conoscevo altri brani e visto molti filmati.
Attribuii quella sensazione di virile romanticismo al suo modo di cantarla e suonarla la canzone, e per tanti anni la pensai solo in questa maniera: in parte è davvero così, ma non è la parte più rilevante. John McLaughlin, quasi ottantenne, ha pubblicato il suo disco più peculiare. È interamente cantato. Is That So? è comunque in assoluto un disco molto insolito, perché è cantato dall’indiano Shankar Mahadevan con i loro modi melodici (raga) e sistema musicale a 22 note, quindi melodie “indiane” che si muovono su armonie occidentali generate dalla chitarra sinth (McLaughlin), e le percussioni (predominano le tabla) di un altro indiano, Ustad Zakir Hussain, storico collaboratore di McLaughlin nel progetto Shakti alla ribalta nel 1975. Le complicatissime strutture melodiche modali dei raga insieme con quelle altrettanto complicate dei loro ritmi (qui semplificati, ma non banalizzati) sono perfettamente adattate e quindi amalgamate con le complesse trame solutive armonico-accordali ideate dal chitarrista.
A volte l’emozione di alcune musiche porta un acuirsi dei sensi elementari. Un sottile fremito, deliziosa trepidazione; un po’ come gli animali quando sentono l’avvicinarsi di un terremoto. Impulsi primari.
Altre volte quei sensi si sopiscono, non si sta più in sorveglianza del quotidiano vivere, ci si lascia andare come quando si sta in viaggio di vacanza; si socchiudono gli occhi al sole e si conquista quel che si vede con un’attenzione a dettagli e sfumature di colori e luci che normalmente non si ha, e che fa sentire lo scorrere di quel tempo come onirico, sospensione della realtà opprimente di pericoli: estranei della nostra sorte e quindi beatamente rilassati. Sovente la musica di Pat Metheny sembra donare questa sensazione di viaggio… Nel 1983 (registrato l’anno precedente) fu pubblicato un pregevolissimo disco dal vivo, Travels (doppio), di un gruppo in ascesa in termini di qualità artistica e di consensi di pubblico, oltre che composto di brani perlopiù inediti: ben otto dei dodici (in 11 tracce). Un’altra particolarità, per un live, è che ben quattro pezzi sono delle minimali ballad prevalentemente chitarristiche: Goodbye, Farmer's Trust, Goin' Ahead e Travels. Il Pat Metheny Group di quest’opera è un quintetto capitanato dal chitarrista-compositore Pat Metheny, sontuosamente coadiuvato dal tastierista-compositore Lyle Mays, e perfezionato dalla “ritmica” di Steve Rodby (basso e contrabbasso) Danny Gottlieb (batteria) e dal brasiliano Nana Vasconcelos (percussioni e vocalizzi).
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Ottobre 2024
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