Innumerabili esempi soprattutto nella Classica, ma presenti pure in altri ambiti (orchestre varie, Big band, Pop, Dance ecc.), ove è tutto o quasi predeterminato.
Pertanto è l’amplissima e affascinante “terra di mezzo” che, per sommi capi, ci accingiamo a scoprire: l’invenzione musicale estemporanea, benché non totale. La cosiddetta improvvisazione, che risiede in massima prevalenza nelle parti di chi s’incarica di fare un solo
Prima di allora mai così liberi di fraseggiare in maniera più o meno spontanea: sorta di completamento di un quadro i cui tratti essenziali, il fondale, sono dati; s’inizia così a far emergere quella che sarà (soprattutto nella musica strumentale) la figura principale.
Nessuna delle due scuole è iniziata con metodi e precetti scritti, studi schematizzati e diffusi che insegnassero come improvvisare: si imparava sul campo, provando e riprovando miriadi di soluzioni.
D’altronde, come vedremo, solo per quella jazz, essendo molto più complicata di quella blues (e rock), ci sarà da circa metà secolo in poi un florilegio di manuali d’improvvisazione.
L’invenzione di una parte solista che (quasi sempre) s’inserisce nella struttura di un brano è un’ottima soluzione per renderlo molto più vario e avvincente, affidandosi all’abilità creativa ed esecutiva di uno o più strumentisti; spesso nel Jazz sono più strumentisti che si avvicendano, talora pure cantanti.
Pertanto l’obiettivo dei musicisti, la loro efficacia, è nell’arricchire il brano in modo coerente con lo stile e l’”umore” complessivo; solo talvolta in antitesi, generando tensione espressiva: tanto rischioso quanto ricompensante, se compreso dal pubblico.
E qui entra in gioco l’efficienza, ossia i sistemi di portare a compimento l’intervento solistico.
Per il Rock (tralasciando il più elementare Blues) gli scenari armonici* sono quasi sempre assai semplici e diatonici, monotonali (una sola tonalità di base): basta suonare l’unica scala d’impianto (e conseguenti arpeggi melodici). Dunque approccio perlopiù derivativo, non ci sono problemi da risolvere in tal senso, tutto scorre liscio come l’olio: basta individuare la scala base (si può fare tranquillamente a orecchio) e la si suona sopra l’intero pezzo.
Per il Jazz, essendo di solito alquanto più complicato a livello armonico, con parecchie e rapide modulazioni e quindi pluritonale, si ha un approccio perlopiù parallelo; cioè si deve seguire con molta attenzione lo scorrere del brano per poterlo correttamente suonare, applicando le opportune scale settore per settore, a volte accordo per accordo.
Ed ecco spiegato pure perché i manuali d’improvvisazione sono per il Jazz e non per il Rock.
In questi testi** ci sono innanzitutto una serie di schemi designanti le associazioni di varie scale (e arpeggi) per ciascun accordo possibile. Sovente di seguito annotazioni che informano sulle possibili interpretazioni in base agli stili storici, talvolta pure di qualche illustre improvvisatore: le sue scelte predilette.
Quindi l’efficientamento nel Jazz è fornito in nuce dal sapere le molteplici relazioni scale-accordo, più e meglio si sanno (pure praticare) e più si è potenzialmente efficienti giacché si hanno così più risorse e quindi si farebbe meno sforzo e pertanto si avrebbe (condizionali d’obbligo) più rendimento nell’efficacia del solo.
Questo pure perché nel Jazz, è bene rammentarlo, gli assoli sono molto improvvisati e mirano più che altro all’originalità delle idee e quindi all’espressione della personalità del linguaggio, più di altre caratteristiche: i soli durano molto in modo di avere il tempo necessario per manifestare ciò, e divengono struttura portante.
Idealmente, nel Jazz c’è la tendenza a modellizzare meno possibile, a improvvisare in modo reattivo alle circostanze, a ciò che accade nello scorrere temporale***.
Nel Rock invece l’efficacia si sostanzia con l’incisività, con l’effetto di potenziamento della struttura portante dell’intero brano: assoli più brevi a sostegno e rilancio del pezzo, che s’incastonano: le componenti spesso sono semplici ma d’impatto, ricchissime di pathos, puntano a “colpire” l’ascoltatore. Dunque meno individualismo e più “gioco di squadra”.
Pertanto nel Rock gli interventi sono molto più pianificati, poco improvvisati, modesti in termini di lessico, ma estremamente curati in quanto a forma e sovrastrutture, a cominciare dai timbri. Dunque l’efficienza si concreta prevalentemente con l’abilità nella scelta dei suoni e dell’effettistica a essi associati (la stragrande maggioranza del pubblico non si rende conto quali presenti), dei registri (frequentemente si insiste sui medio-acuti), producendo così molto coinvolgimento emotivo.
Paradigmatico, giacché estremo in tal senso, è l’assolo del chitarrista Trevor Rabin degli Yes nel brano Owner of a Lonely Heart del 1983; molto breve, 30 secondi. Conseguentemente al fatto che il pezzo divenne una hit pure questo solo fu molto considerato (da contemplare peraltro che le cose di successo aumentano la propria efficacia con la reiterazione degli ascolti; una progressiva autoalimentazione del gradimento).
Quindi il solo di Rabin sembra molto moderno, innovativo, tuttavia in sé è alquanto semplice e convenzionale nel fraseggio, nulla di che, addirittura rasenta il rock-blues, ma così filtrato e inserito è molto efficace, ed efficientissimo: con poco si è ottenuto molto.
D’altronde in tutto il brano sono sfruttati diffusamente molti tipi di modernissimi effetti (per l’epoca), quindi la particolare atmosfera dell’intero scenario in divenire e l’harmonizer alterano la percezione della struttura; è così massiccia la sovrastruttura, la barocca sofisticazione, che prevale sul resto.
Addirittura dal vivo Rabin replica la sua “improvvisazione”, il che la dice lunga su molte cose… Nulla di più lontano dal Jazz.
La diversità tra un brano rock e un brano jazz è simile tra il nuotare in piscina e nuotare in mare (ancor più cogli altri generi del Novecento e contemporanei, fino ad arrivare alla massima divaricazione dell’esperienza con la Classica).
Insomma, sono così pure chiarite, sommariamente e del tutto polarizzate, le estetiche e le poetiche del Jazz e del Rock; naturalmente ci sono gradazioni e vari assetti di tutto questo, fino a vere e proprie ibridazioni che strutturano quei generi cui la loro denominazione le indica esplicitamente: il Jazz-Rock e la Fusion.
*È l’armonia, cioè la sequenza di accordi, o in qualche caso anche solo un Riff, a determinare l’alveo melodico ove i musicisti possono lavorare.
** Ritengo limitanti, financo fuorvianti, questo tipo di manuali così schematici, apoditticamente assertivi, dogmatici: funzionano, aumentano l’efficienza in base a un criterio di efficacia, però alquanto parziale e scolastica.
*** Va sottolineato che chi accompagna nel Jazz di solito non lo fa rigidamente, ma flessuosamente, improvvisa; pertanto seppur ogni volta ripetuta e in teoria uguale, una sezione sarà nella pratica un po’ differente alla precedente.