Già questo basterebbe per farlo entrare nell’Olimpo, nei posti più eminenti, ma non si fermò qui, arrivò in cima… Ci giunse perché affrontò la sfida della scansione binaria del Rock e dintorni con portentosa creatività, precisione e grinta sin dagli esordi (’69) con il suo fantastico trio proto Jazz-rock Lifetime, tracciando, anche per questo genere, percorsi futuri del batterismo, distinguendosi peraltro anche a livello compositivo.
Dunque ciò che lo ha contraddistinto sia nel versante Jazz (che ha prettamente scansione terzinata) sia nel versante Rock (binaria o complessa), era l’eccezionale abilità di condurre i gruppi, formati spesso da colossi, in direzioni e mete inusitate, perché padrone totale del tempo che distribuiva indifferentemente sia in spazi e forme aperte, finanche free, sia del tutto organizzati e obbligati.
E ciò lo realizzava sia in modo aereo facendo fluttuare il tempo con poliritmi e polimetrie che sovente inventava (pure in modo estemporaneo), stratificando linee tensive in contrasto a quella base, sia distribuendo colori sonori con minime direzioni impulsive e silenzi; ma anche con serrati groove ostinati o complicati che fossero, esprimendo una potenza di drive e sensibilità che solo pochissimi al mondo sono stati in grado di eguagliare.
Sicuramente c’è stato qualche batterista che nel proprio genere, anche quello più totale come il Jazz-rock (un nome per tutti: Billy Cobham), ha ulteriormente contribuito a tracciare percorsi, chi episodicamente chi in maniera continuativa, ma nessuno come lui nei due mondi e così massicciamente; l’unico epigono (non emulo) degno di essere menzionato è Jack DeJohnette.