Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Jazz e Blues, facciamo fuori alcuni luoghi comuni

4/12/2017

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Si sa, i luoghi comuni sono duri a morire, alcuni più di altri… per esempio che il Jazz e il Blues siano generi musicali “africani”, ossia che abbiano chissà quali elementi musicali di quel meraviglioso continente, che dal Blues discenda direttamente il Jazz (e un po’ tutta la musica del Novecento a eccezione di quella Classica), e che esistano le blue notes…
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No, il Jazz e il Blues sono afro-americani, ma non nel senso comune di “appartenenti alla popolazione americana di origine africana”, ma di connubio tra i due continenti. Il Jazz non discende dal Blues, ma da molte più cose… e le blue notes (terza minore, settima minore e quinta diminuita) hanno un senso bluesistico solo se si rapportano a particolari concatenazioni intervallari (meglio con glissati intonativi) e sovrapponendosi a precisi accordi.
Il Jazz, nato all’alba del Novecento, è il più alto e sofisticato esito di una costellazione di forme musicali che nell’Ottocento sono fiorite negli USA per opera di generazioni di africani deportati, interagendo con la cultura americana; che a sua volta era europea (segnatamente inglese, ma anche francese e spagnola). Worksong/spiritual e ragtime furono tra le forme più importanti per la formazione del Jazz.
Infatti, se si considera che gli spiritual sono influenzati dagli inni e canti sacri europei (segnatamente i responsoriali Alleluia), e il ragtime (col cakewalk) da minuetti, polche e mazurche ottocentesche con quadriglie di discendenza sempre europea (contraddanza) del ‘700, non si può che considerare del tutto reciproco l’intero rapporto musicale afro-americano, nero-bianco.
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Peraltro tutti gli strumenti usati sono di origine occidentale, e in Africa non si conosceva l’armonia: la musica africana era basata soprattutto su canti eterofonici (raramente su rozze polifonie) e percussioni (talvolta idiofoni tipo marimba), raramente con qualche elementare strumento cordofono. Questo è il portato dei neri nel continente americano che si amalgamerà con quel che troveranno dei bianchi.
Il Blues (che è coevo al Jazz) è la consecutiva semplificazione individualistica dei corali e più articolati worksong/spiritual e indubbiamente ci fu ulteriore reciprocità d’influenze tra i neonati Jazz e Blues (come il riffeggiante boogie-woogie che è la trasposizione estremamente semplificata del ragtime), ma ciò non lega indissolubilmente i due generi: seppur dalla medesima montagna e con mutue ascendenze, ci può essere del Jazz senza Blues (e boogie-woogie) e viceversa. Fiumi che scorrono paralleli…

Altresì i ritmi base del Blues (e pure del Jazz) non corrispondono tanto a quelli africani quanto a quelli europei; il ritmo terzinato shuffle che tanto ha poi caratterizzato il Blues (e il Jazz), lo si riscontra con facilità nelle marce americane più famose, per esempio la Semper Fidelis March del 1888 per opera del loro maggiore compositore specializzato: John Philip Sousa. Vero è però che l’attitudine ritmica degli originari africani, ben più flessuosa, ha sin da subito donato una stupenda duttilità a quei ritmi, eliminando la quadrata rigidità occidentale.
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In ogni caso, di là dei molti miti e approssimazioni che offuscano molto il sapere da cosa sia formato e caratterizzato il Blues, i fattori che costituiscono quello più tipico cioè quello più semplice e diffuso sono pochi ma molto interagenti tra loro. Li riassumiamo così…
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  1. Melodia/improvvisazione: si avvale soprattutto della scala pentatonica minore con zone d’intonazioni variabili (micro inflessioni di altezze soprattutto sull’intervallo di terza), talvolta con l’aggiunta di note di passaggio in special modo la quinta diminuita (da qui la scala cosiddetta blues). Tuttavia l’effetto blues è ottenuto dalla sovrapposizione a un accordo maggiore o, ancor meglio, alla classica sequenza di accordi maggiori, e quindi non è la scala in sé a essere blues: le cosiddette blue notes (terza e settima minori e quinta diminuita) non esistono a sé stanti. Sovente ci sono dei riff (mini sequenze di note ripetute).
  2. Armonia/sequenza: basata su 3 accordi maggiori/dominante in relazione I/IV/V; con qualche variazione soprattutto nelle ultimissime battute cadenzali del breve ciclo armonico (turnarond).
  3. Ritmo/metro: 4/4 spesso terzinato, di solito chiamato non appropriatamente 12/8.
  4. Forma: minimale e circolare, nelle prime decadi del ‘900 si raggiunse la schematizzazione di un monoblocco basico costituito di 12 misure ripetute ciclicamente, la struttura: I-IV-I-I-IV-IV-I-I-V-IV-I-V.
  5. Timbro: individuale formazione del suono mediante una condotta tecnico-articolativa che predilige l’eterogeneità timbrica, ottenendo così una continua e personale variabilità sonica, al contrario dell’omogeneità classico-europea, donando alle esecuzioni una pronuncia espressiva mai uguale, viva. Ricercando e sviluppando innovative tecniche, non solo sfruttando al massimo le potenzialità degli strumenti ma forzando le loro normali possibilità (a volte nel tentativo di approssimare l’espressione vocale), il musicista infonde personalità quasi a ogni singolo suono nel portamento fraseologico musicale.  

Dunque, tutti questi fattori insieme concorrono per ottenere l’elementare e più tipico Blues, quello più diffuso, e chi sin da subito lo ha arricchito e sviluppato è semplicemente andato oltre questi “precetti”; chi variando un elemento chi due o tre… con innumerabili combinazioni, che comprendono anche la profondità delle variazioni, cioè quanto si discostano.
Taluni musicisti (o certuni brani) mantengono tutto ma variano alcuni accordi della sequenza armonica, magari pure il numero di battute; oppure conservano la sequenza ma hanno addizionato scale cui attingere; o mantenuto il ritmo terzinato e le peculiarità timbriche, cioè esposto il suono in modo omogeneo (classicheggiante) con minime inflessioni e variato il resto; finanche mutare un po’ tutto conservando però la pentatonica con tutto l’armamentario tecnico-articolativo che permette quell’estrema individualità espressiva, con pletora di sfumature di pronuncia…
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In conclusione, nel Novecento la grande novità musicale del Jazz e del Blues fu il frutto di una fusione tra la iper armonica musica di origine europea, sofisticatissima musica da salotto borghese e sala da concerto, le rustiche semplificazioni americane e l’arricchimento di ciò che ne trassero i neri ex africani, che infusero una vitalità innovativa improntata su flessibilità ritmico-intonative fino ad allora sconosciute, facendo peraltro riscoprire alla musica occidentale l’arcaico afflato melismatico bizantino, arabo-gregoriano. E mediante ulteriori e talvolta profonde interpretazioni e rielaborazioni di queste meravigliose congerie musicali, si sono sviluppati molti, ma non tutti, generi e stili musicali moderni.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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