E già, sono appena tornato da un lungo e intrigante “viaggio” che l’amico Antonio Lisi mi ha invitato di fare per approfondire la conoscenza di quel bizzarro brano di Jim Pepper (sassofonista e compositore), che pubblicò nel 1969 (in un 45 giri) con il suo gruppo Everything Is Everything.
Esplorando Witchi Tai To, strani incroci geografici, temporali e di culture; Norvegia, costa est e costa ovest degli U.S.A., attraversando il Midwest del Missouri e gli Stati Uniti Centrali del Sud dell’Oklahoma.
E già, sono appena tornato da un lungo e intrigante “viaggio” che l’amico Antonio Lisi mi ha invitato di fare per approfondire la conoscenza di quel bizzarro brano di Jim Pepper (sassofonista e compositore), che pubblicò nel 1969 (in un 45 giri) con il suo gruppo Everything Is Everything.
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Ero da poco maggiorenne e da tempo Jaco Pastorius mi piaceva tantissimo: appena potei, acquistai il suo secondo disco solista Word Of Mouth (1981).
Rammento bene, perché in gran parte mi deluse, mi aspettavo altro; ero entusiasta del suo primo disco (l’omonimo del ‘76), e ancor più dei Weather Report di Black Market ed Heavy Weather. Ma Word Of Mouth era altro, e pur essendo già alquanto abituato ai complicati dischi jazz-rock, la sua musica mi sembrava stranamente complessa, sfuggente, poco focalizzata; non la compresi e quindi poco mi piacque. Siamo tutti particolarissimi, unici, esiti biologico-esperienzali.
Imponderabili miscugli di quantità e qualità, almeno non con precisione; ma all’ingrosso è possibile comprendere qualcosa. Io ho sempre avuto l'attitudine a profondi mescolamenti... Gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del ‘900 fusi in una canzone di enorme successo, tra le più famose in assoluto di David Bowie.
Let’s Dance è un brano dell’omonimo disco pubblicato nel 1983, in cui è evidente la proficua “mano” del musicista-produttore Nile Rodgers, che ha affiancato Bowie per l’intera realizzazione del disco. La particolarità di questa canzone è la manifesta osmosi dei caratteristici fattori musicali di quei tre decenni, in un’operazione tanto sfrontata e spavalda quanto sofisticata e azzeccata. Un caleidoscopio temporale in forma di musica. Più o meno insito ed esplicitato, l’effetto misterico della musica è da sempre presente e avvertito.
Ad esso è attinente una dimensione esoterica delle teorie e pratiche musicali. Un appassionato, Giacomo, chiede a Federica, l’amica esperta, chiarimenti. Federica: beh, anzitutto è utile distinguere tra esoterico e misterico. Giacomo: ah! pensavo fossero praticamente sinonimi… Quantità (più o meno) direttamente proporzionale alla qualità: la questione è tanto annosa quanto invalsa e fuorviante.
Da ragazzo, quando ascoltavo dei musicisti i loro assoli pensavo che quelli più duraturi fossero per opera dei più bravi. Questa patente ingenuità era data dall’inesperienza, che non mi attrezzava adeguatamente per poter anche solo un minimo stimare seriamente la qualità (facendo pure faticosamente la tara al mio gusto). L’innovativa declinazione “bianca” del Jazz ebbe nel ventennio tra la metà dei Quaranta e dei Sessanta notevoli esponenti che influenzarono la musica a tutto tondo (tra gli altri - Lennie Tristano, Stan Kenton, George Russell, Jimmy Giuffrè, Tony Scott, Paul Desmond, Dave Brubeck, Don Ellis).
Musica ben più innervata dalla Classica (non di rado pure dall’etnica mondiale) e ben poco dal Blues, fu pertanto un Jazz di ricerca e sviluppo di matrici centro-europee (e orientali). Quindi non semplici temi su cicli blues o canzoni, ma composizioni di altro tipo - sovente complesse - insieme con improvvisazioni; non inesorabilmente accompagnate da walkin’ e swing. Il “dark side of the love supreme” di John Coltrane fu registrato sei mesi dopo il “lato chiaro”: ma Transition non fu pubblicato in quel periodo, solo anni dopo, e ciò ha contribuito a depotenziare il suo impatto*.
E se è vero come è vero che raramente i dischi postumi dei grandi artisti sono ottimi dischi, Transition è uno di questi. Registrato in due sessioni: 26 maggio e 10 giugno del 1965, pubblicato nel 1970; col suo classico quartetto, McCoy Tyner al piano, Jimmy Garrison contrabbasso ed Elvin Jones batteria. Brevissimo e semplice riff usato in più sezioni (intro, A e soli), B e C.
La forma della canzone Diesel di Eugenio Finardi è tutta qui: A, B e C, un elementare abbecedario; eppure è straordinaria. Lo è anzitutto perché c’è l’intervento solistico al piano elettrico di un eccezionale musicista: Patrizio Fariselli, tastierista e leader del formidabile gruppo jazz-rock Area. Con i suoi interventi solistici ha potentemente innervato di Jazz un brano Pop-Rock. E ciò fu tra i primissimi esempi, se non il primo, nell’ambito del panorama nazionale. (Per quello internazionale lascio ai lettori il divertimento nel ricercare dei precedenti; non sarà facile: buona caccia.) Io Vivo Come Te è una canzone di Pino Daniele pubblicata nel 1982 e contenuta nel suo quinto disco Bella ‘mbriana.
Brano lento di circa quattro minuti, ha più di un aspetto interessante; per quanto una canzone parecchio semplice. L’album è suonato da un gruppo straordinario: oltre a Pino (voce e chitarra) c’è Tullio De Piscopo (batteria), Joe Amoruso (tastiere) Rosario Jermano (percussioni) e due fuoriclasse internazionali: Wayne Shorter (sax soprano) e Alphonso Johnson (basso). Ieri sera casualmente mi sono imbattuto in un video sul web di uno tra i più noti chitarristi pop-rock italiani, attivissimo con testi e video didattici, nel quale asserisce che “il vibrato classico è quello che tende a modificare l’ampiezza, dare una modulazione all'ampiezza del suono, senza variarne il pitch.”
(Il pitch è l’altezza, l’intonazione di un suono o nota.) Benché non nuovo ad approssimazioni ed errori del genere, una così scorretta affermazione su una tecnica musicale fondamentale, elementare, come il vibrato e per giunta direttamente applicato alla chitarra, mi ha fatto sussultare. L’estrema sintesi della dimensione musicale in due parole: ethos e pathos. Il cosa e il come; estetica e poetica.
Di qui le tre polarità base: un’elementare triangolazione tra due estremi e una posizione mediana; statica stabilità (simmetria-consonanza), dinamica instabilità (asimmetria-dissonanza), e neutra medianità tra le prime due*. Un po’ come tra lo stare fermi su due piedi, su uno, e il camminare. Ovviamente esistono innumerabili sfumature, come di grigi tra bianco e nero, gradi di penombra tra luce e buio.
Molti sanno che il fondatore della teoria musicale occidentale volta alla ricerca acustica, basata sulla formale concettualizzazione numerica, è Pitagora (e la sua scuola – i pitagorici).
E ciò è strettamente connesso all’armonia, alla simmetria; sia in senso aritmetico sia geometrico. L’armonica bellezza delle proporzioni, alla relazione tra le varie parti e il tutto, afferisce pure a un equilibrio intuibile - giacché comunemente esperibile (basta guardarci allo specchio) - dato dalla simmetria. Formidabile strumento d’indagine conoscitiva della realtà. Il tocco di un musicista sovente è citato; in modo alquanto generico, superficiale.
Pur tralasciando gli aspetti più specialistici e tecnici (che si possono trovare negli approfondimenti fatti nei miei libri Tecnologia Musicale, Viaggio all’interno della Musica e Quaderni Musicologici), tentiamo di comprendere cosa significhi, affrontando l’argomento in maniera tale da intendere correttamente cause ed effetti del “tocco” musicale. He Loved Him Madly è il primo requiem elettrico – visionario - di un grande jazzista, e in assoluto il più lungo.
Benché una smentita può esserci dietro l’angolo, in ogni caso, questo brano è straordinario. Registrato nel giugno del 1974 fu pubblicato nel novembre dello stesso anno nel doppio Get Up With It , ultimo album in studio di Miles Davis prima dei cinque anni del suo ritiro. Non rammento come conobbi il gruppo rock americano The Tubes e con quale disco in particolare, ma ricordo che ero molto giovane e che mi conquistò subito.
Approfondii la loro conoscenza appena possibile (le loro prime tre pubblicazioni all’epoca erano scarsamente reperibili); i dischi più famosi erano il doppio dal vivo del ‘78 What Do You Want from Live, Remote Control (il quarto in studio del ‘79) e il successivo The Completion Backward Principle (‘81). Poi acquistai Outside Inside (il sesto in studio del 1983), che mi convinse a trovare a tutti i costi i tre dischi dei loro esordi. Si può, in estrema sintesi, asserire qual è l’essenza della musica?
Si può individuare qual è quest’essenza che, ancor più profondamente della stessa struttura della logica musicale più immediatamente correlabile (ossia l’assetto sintattico-algoritmico che fornisce nessi coerenti atti al processo musicale e alla sua rappresentazione formale - sistemi scalari, armonizzazioni, durate -), la caratterizza? Sì, della musica la sua essenza, il suo statuto ontologico, in varie forme e sia nel micro sia nel macro, è la ripetizione. Sì, ancora su Jimi Hendrix, perché è un’eccezione; ha un primato.
Sono fuorvianti giacché scorretti, ossia non rispondenti al vero, i non rari primati attribuiti da parecchi “addetti ai lavori” a questo o a quel musicista, opera ecc.: “il primo, il migliore” e così via (sorvolando sulle diffusissime quanto sterili discussioni tra i semplici ascoltatori in tal senso). Però, talvolta, assai raramente, accade che a livello storico ciò possa capitare, o perlomeno conferirlo correttamente. É cosa nota che Chuck Berry sia tra i genitori del Rock, essendo tra i colossi del Rock'n'Roll degli anni ‘50-’60.
Nel 1956 fu pubblicato un singolo contenente un eccentrico brano, Havana Moon (poi inserito nell’album After School Session – 1957). Parecchio singolare; non è un blues né r’n’r o simili né una ballata. Ritengo sia tra i pezzi più minimali in assoluto, sia formalmente sia come contenuti; peraltro nemmeno molto breve. Il settimo colore dell’arcobaleno musicale dei Weather Report è il loro maggior successo: Heavy Weather (1977).
I sei colori dei sei anni precedenti (più Live in Tokyo) furono una meravigliosa traiettoria che incantò tutti. Dai primi due, più astrali (l’omonimo e I Sing The Body Electric), agli ultimi due, più terragni (Tale Spinnin’ e Black Market), presentarono una stupefacente progressione d’ibridazione musicale tra sperimentazione ed etno-world, partecipando in modo apicale all’innovazione del linguaggio musicale che a quel tempo si stava compiendo, che nominarono Jazz-Rock e Fusion. Stone Free è la prima canzone che Hendrix compose per il suo gruppo The Jimi Hendrix Experience, fu pubblicata nel dicembre del 1966* come lato B del suo primo singolo " Hey Joe ".
Dai racconti fatti, Jimi non l'ha scritta volontariamente. Voleva arrangiare Land Of 1,000 Dances (Chris Kenner) come lato B di "Hey Joe", ma il suo produttore Chas Chandler gli disse che era meglio che scrivesse qualcosa… Lui un’Ibanez (tipo Gibson Les Paul Custom), io una Duke (sembrava scippata ai Camaleonti), lui andava a lezione alla scuola di musica Saint Louis, io autodidatta, lui sapeva fare anzitutto accordi, io anzitutto scale.
Lui accompagnava, io facevo assoli, nel salotto di casa sua “attaccati” al suo stereo Hi-Fi (era già bravissimo a fare e modificare qualsiasi cosa inerente l’elettronica). Eravamo ancora minorenni, conoscevo chi poteva suonare la batteria: per poter fare un gruppo mancava il bassista… Questo articolo è tratto dal libro: Pink Floyd - The Dark Side of the Moon (Analisi musicale e guida all'ascolto)
The Great Gig in the Sky è il titolo di un celebre brano pubblicato dai Pink Floyd, nell’ancor più celebre disco The Dark Side Of The Moon del 1973. Il pezzo non era in origine granché, anzi, ma ciò che fece la differenza* fu la lunga improvvisazione vocale di Clare Torry, una giovane cantante professionista inglese, chiamata all’ultimo momento per “riempirlo” e tentare così di “salvarlo”. Monumentale: di ciò che, per le sue dimensioni, dia impressione di grandezza e solennità.
Così il vocabolario Treccani. Così per Since I’ve Been Loving You pubblicato dai Led Zeppelin nel loro III nell’ottobre del 1970. Una lenta canzone blues (minore), monumentale. Estetica e poetica, due termini che spesso si confondono.
Non dovrebbero confondersi il Free jazz e il Punk. Eppure… Il Free jazz, sorto tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta del ‘900 per opera anzitutto di Ornette Coleman - seguito da giganti* come Eric Dolphy e John Coltrane (nei suoi ultimi tre anni di vita ‘65-’67) - è un fondamentale stile di Jazz che da lì, con alterne fortune artistiche e di successo di pubblico, si è variamente conformato fino ai giorni nostri. |
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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