Innanzitutto in musica sin da troppo tempo c’è questa scorretta equazione: si è tecnicamente bravi se veloci, fluidi e netti; e (quindi) viceversa. Tuttavia più si è in questa maniera meno è personalizzato il profilo musicale a livello sonoro ed espressivo. Così la conduzione delle linee musicali è neutra e non caratterizzata e quindi stilisticamente notevole: non emerge la personalità del musicista.
La tecnica formale del saper esporre musica in maniera rapida e pulita, è la condizione appena successiva a quella primigenia di saper dove mettere le mani sullo strumento per produrre la nota desiderata. Andar su e giù facendo le scale per ore al giorno, per anni, è esercizio comune a tutti musicisti, in special modo a quelli grandi.
Quando nel 1945 Miles nemmeno ventenne approdò alla corte del nuovo Jazz (quello del nascente stile be-bop) dei re Parker e Gillespie, non si distinse in modo particolare, giacché era conforme al be-bop e quindi al “mostro” Dizzy: idee e tecniche stellari, nuove, che strabiliarono tutti, veterani e giovani, Davis compreso. (Gillespie fu un gigante anche perché oltre a essere velocissimo e fluido introdusse elementi di novità di linguaggio ovvero scale, articolazioni, scelte di registri ecc.).
Davis fu influenzato anche da Freddie Webster, trombettista morto giovane proprio in quegli anni, ma che già si era fortemente messo in luce a fronte di uno stile e sonorità primeggianti e differenti da Gillespie.
Seppur esigue le testimonianze del Davis esordiente ai tempi di Parker, si può riscontrare in alcuni brani, per esempio in Ornithology (’46), A Night in Tunisia (’46) e Salt Peanuts (live ’48), la sua tecnica formale stilisticamente aderente a quella di Gillespie, e quindi il suo essere molto preparato in tal senso, confermando il percorso che tutti hanno: essere abili nell’emettere note rapidamente, in modo fluido e pulito, ed emulare il linguaggio di qualche importante modello. Ha poi cercato e trovato la sua strada percorrendo altre vie.
Miles negli anni progressivamente tende ad abbreviare le lunghezze delle frasi, più cromatico (suonare sequenzialmente la scala cromatica) ed essenziale allo stesso tempo, scolpendo il profilo armonico delle serie accordali per mezzo di note guida (sorta di neo cantus firmus di gregoriana memoria), più drammatico, frammentario e sospeso, modale e pantonale, dissonante, con ostinati e spunti dodecafonici. A volte completamente “free”, e sempre senza vibrare le note.
Il nostro passava dal suonare nel registro grave, velato e misterioso, finanche minaccioso, al graffio lacerante, lamento stridulo e incisivo, transitando nella mediosa morbidezza talvolta melliflua e ammiccante nel suo felino incedere, talaltra, dopo una rapida e cromatica salita/discesa perfettamente scalare, il suo abbandonarsi nel mezzo: neutra sospensione sia emotiva che cognitiva, totale.
Davis il padrone del silenzio, allusivo, maestro del non detto, dell’alterazione e torsione, della frattura e disallineamento dai mondi altrui, del solitario spingersi sempre più in là per esplorare il buio, pericoloso, illuminandolo con la fiamma del rischio che tale scelta umana offre; vincendo, anche se si è perduto.
Le analisi musicali di due capolavori di Miles Davis sono incluse nel libro Dischi da leggere - Collezione 1.