Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Dal folk alla sperimentazione: la parabola di Tim Buckley

3/11/2023

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Tim Buckley è stato tra i più importanti cantautori statunitensi; in attività a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, morì prematuramente nel 1975 all’età di 28 anni.
Non molto conosciuto dal grande pubblico, è però oggi una figura di culto per una nutrita nicchia di ascoltatori e parecchio stimato dalla pubblicistica.
Nove dischi in studio tra il 1966 e il 1974, una parabola che principiò dal cosiddetto folk-rock (all’ingrosso, musiche molto semplici di matrice tradizionale fondate su strutture elementari, pochissimi accordi - quasi sempre suonati da chitarre - e pochissime note di melodia), a una breve fase sperimentale, centrale; per poi riprendere le coordinate originali, pur aggiornate alle esperienze che aveva nel frattempo maturato, e a ciò che stava accadendo nel panorama musicale.

Cos'è accaduto nel 1969 e portato all’estremo l’anno successivo col celebrato disco Starsailor?

Il Rock, per opera di alcuni, già almeno un paio di anni prima aveva cominciato significatamene a emanciparsi dalla forma canzone e dal Blues e i suoi derivati; anche nei contenuti (ritmi – melodie – armonie) stava assai crescendo.
Altresì pure la tecnologia elettronica, che in quel tempo stava notevolmente sviluppandosi, ha contribuito nell’offrire vari strumenti e accessori che ampliavano notevolmente lo spettro timbrico, quindi le potenzialità immaginative ed espressive di chi produceva musica.
Da considerare l’inconsueta tempistica della pubblicazione dei dischi di Buckley: tra il secondo (Goodbye and Hello -1967) e il terzo (Happy Sad - 1969) trascorrono ben due anni, e in quello stesso anno pubblica Blue Afternoon; poi nel 1970 altri due, Lorca e Starsailor.
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L’evoluzione artistica di Buckley verso il notevole sperimentalismo di Starsailor è da un lato sorprendente dall’altro tutto sommato ben comprensibile.
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In Goodbye and Hello, pubblicato nel 1967, c’è un pezzo chiamato Hallucinations in cui vengono introdotti suoni particolari, si potrebbe dire “allucinati” o “allucinatori”… anche I Never Asked To Be Your Mountain risente del clima catartico, acido, hippie, psichedelico da “summer of love” che si stava sempre più diffondendo.
Altresì il successivo album, Happy Sad, sia apre con Strange Feelin' che ha un andamento e sonorità (contrabbasso e vibrafono che saranno usati per tutto l’album) che rinviano al jazz di All Blues di Miles Davis, con ampio spazio all’improvvisazione. E in Love from Room 109 at the Islander e Dream Letter c’è un diffuso uso del contrabbasso con l’archetto e il vibrafono che certamente di folk-rock non hanno nulla, mentre nella lunghissima Gipsy Woman si ritorna a umori più catartici rock, seppur ancora con contrabbasso e marimba.
Blue Afternoon è il più elegante di questa serie di dischi: poche note, armonie scarne, pochi timbri, poche grida, cavalcata catartica limitata a un brano (The Train), quasi nulla di effettistica: nudo, introspettivo.
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A questo punto non si può non citare l’apporto del chitarrista Lee Underwood, vero e proprio alter ego, contraltare, di Buckley coi suoi invalsi e interessanti interventi solistici, sia di supporto a ornare il cantato sia con veri e propri assoli. Sarà decisivo anche successivamente.

Ed ecco il 1970 con Lorca, che con la sua apertura (pezzo omonimo di 10 minuti) di bizzarri suoni (organo e piano elettrico filtrati) e l’attacco del riff luciferino (tritono e in 5/4) si apre la fase più nettamente esplorativa di Buckley; sempre Underwood coprotagonista, questa volta al piano elettrico a sostenere e punteggiare il lamentoso e ieratico canto del leader.
Anonymous Proposition esalta l’attitudine declamatoria del cantante, peraltro accompagnato solo dal contrabbasso e chitarra elettrica che fungono da responsoriali.
I rimanenti tre pezzi rientrano nell’alveo del precedente disco, ma ancor più minimali.
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Starsailor è il più estremo dei dischi di Buckley.
Nove brani in cui l’ascoltatore poco o nulla è accarezzato; con l’eccezione di un paio di pezzi (Moulin Rouge e Down by the Borderline), tuttavia è l’apertura Come Here Woman e l’omonimo Starsailor che hanno una marcia in più, ossia come quantità e qualità sperimentativa.
D’altronde non c'è la totale destabilizzante tensione free di Captain Beefheart, abrasiva, impietosa, la cui influenza è manifesta, sebbene assolutamente personalizzata, in primis dal cantato, che non è cambiato dai dischi precedenti. Qui solo ulteriormente esacerbato (Come Here Woman, Monterey, Starsailor).
Due annotazioni finali per questo importante disco: la presenza del fiatista Bunk Gardner, già nelle Mothers of Invention di Zappa (influenza ramificatrice), e che in Come Here Woman, Jungle Fire e Healing Festival ci siano dei riff in 5/4, un metro che da qualche anno era divenuto ben più frequentato che nel passato decennio.

Insomma, Tim Buckley è partito dalla canzone folk per poi rapidamente esplorare altre estetiche musicali nel tentativo (riuscito) di enfatizzare l'atmosfera e lo stato d'animo suo e di chi lo ascolta, generando aree dinamiche nuove ed espandere così la sua poetica. 
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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