Quel che lega il Prete Rosso (Antonio Vivaldi), il Barbaro Matematico (J. S. Bach), la Popstar (W. A. Mozart), la Rockstar (L. Beethoven) e il Vate (R. Wagner) è un preciso modello musicale cui aderirono. L’epoca di svolta della musica occidentale (europea) fu quando nel Seicento, scalzando la magnifica polifonia medievale-rinascimentale, cominciarono a imporsi concetti teorici armonici-melodici e procedure formali che riguardavano un particolare sistema musicale (chiamato poi tonale) e suoi fattuali ordinamenti strutturali che stabilivano soggetti, ambientazioni e ripartizioni del quadro musicale (introduzioni, code, AABA ecc.), incorniciandolo.
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La rapidità (e nettezza) esecutiva è spesso (a torto) l’unico fattore di riferimento col quale si stima l’abilità tecnica di un musicista. Ma è solo il parametro più elementare e “vistoso” (peraltro come “endemico”) della costellazione tecnica costitutiva la galassia musicale. Questa velocissima frase costituita da più di 20 note in meno di 2 secondi fa riflettere in più aspetti. Potrebbe essere di Charlie Parker o John Petrucci, ma non è così, è suonata da un musicista che certamente dai più non è considerato un granché a livello tecnico. Nondimeno in quel 1991 di certo era tra le fasi peggiori della propria carriera artistica e “commerciale”.
Recentissimi studi indicherebbero che la percezione della pulsazione musicale ossia il battito primario di scansione regolare (beat) sia innata. Questo aiuta le persone a sincronizzare i loro movimenti l'un l'altro, cosa necessaria per ballare o produrre musica insieme. La rilevazione del battito richiede solo la misurazione della lunghezza tra un impulso e un altro e quindi questo mini ciclo è rappresentato nel cervello come modello base di un’aspettativa (pertanto una preconizzazione) invariante. Ciò consentirebbe non solo di percepire il battito, ma anche di costruire una rappresentazione del ritmo gerarchicamente ordinata (induzione metro).
Comunemente ciò che conta non è quali cose sono fatte ma come sono fatte. Addirittura anche nel campo artistico è così; e Fabrizio De André non fa eccezione. Lui, il nostro cantautore per antonomasia, la differenza l’ha fatta nell’attuazione. I cantautori di solito curano maggiormente i testi delle musiche. Spesso, infatti, le loro musiche sono piuttosto elementari, non di rado sono legate o comunque almeno screziate di temi folcloristici, “danzerecci e filastroccati”.
Si sa che i giovanissimi componenti dei Beatles erano entusiasmati dalla musica americana, dal rhythm and blues al rock and roll ai loro ascendenti e derivati: presero le mosse da ciò per sviluppare le loro opere che, dai primi anni Sessanta, cominciarono a sgorgare in Europa come una vigorosa linfa che creerà un’originale musica che a sua volta influenzerà praticamente tutti. E se all’inizio i Beatles erano dei giovani super talentuosi che stavano cercando di affermarsi elaborando un po’ ingenuamente gli esempi americani, solo pochissimi anni anni dopo nell’estate del bollente 1968 dall’alto della posizione massima già raggiunta, pubblicarono uno degli esempi in assoluto più semplici e popolari di elegante summa tra la musica americana e le loro avvenute maturità planetarie: Hey Jude. L’autore principale è Paul McCartney.
Cosa hanno in comune queste tre figure? Approssimando, è semplice: sono tre insiemi di grandezze di basilari e distinti sistemi* che, opportunamente combinati nel loro alveo, generano riconoscibili immagini del mondo, parole e frasi significanti, musiche. È stupefacente che con pochissimi fattori siamo giunti a ottenere ciò che tutti conosciamo. Soltanto 7 colori, 21 lettere e 13 note…
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Ottobre 2024
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