Più di 42 anni fa fu pubblicato un disco di Bill Bruford poco conosciuto ma di gran valore: Gradually Going Tornado. Registrato nell’estate del 1979 e nei negozi nel febbraio 1980; è la terza e ultima sua opera in studio col suo eccellente gruppo Bruford.
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La musica non esiste.
O meglio, esiste solo in un preciso spazio-tempo: la musica finché non è prodotta o riprodotta da strumenti o apparati elettronici che generano una variazione di pressione molecolare dell'aria, quindi un'energia, sussiste solo intellettualmente. Moltissimi ancora confondono il genere musicale Jazz-Rock con il Progressive*. Solitamente la distinzione di massima è che il Progressive sarebbe un complicato genere cantato e il Jazz-Rock** un complicato genere strumentale.
Questa grossolana ripartizione produce ovviamente malintesi e disguidi, per esempio diffusamente si considerano i jazz-rocker Area (addirittura anche i Perigeo) come un gruppo che ha fatto musica progressive perché sono intricati e hanno parti cantate. Pochissime, misuratissime note, suoni, per esprimere vibrazioni poetiche… Ho sempre pensato alla poesia come a un qualcosa di esiguo, di estremamente raffinato; sofisticato. Come un diamante magistralmente tagliato con le migliori proporzioni per irraggiare più luce possibile. Concludo questa sorta di trilogia di articoli (qui e qui) dedicati ai Perigeo con uno dei brani che preferisco: Nadir. È contenuto nel bellissimo disco Abbiamo Tutti Un Blues Da Piangere pubblicato nel 1973.
Composto dal pianista Franco D’Andrea, quasi quattro minuti di grande atmosfera, senza assoli, basati su un nucleo di solo quattro note; ma è un nucleo eccezionale, trattato in modo straordinario... Quasi sempre le cose musicologiche sono più notevoli e interessanti quando si verificano contaminazioni tra generi. Poi se i generi in ballo differiscono parecchio, come il Jazz e il Rock, e se queste mescolanze accadono nello stesso periodo in modo tanto diffuso quanto distinto l’una dalle altre, andando così a scrivere capitoli fondamentali della storia della musica moderna, ecco che la questione assume una dimensione superiore. E i Perigeo (gruppo italiano di Jazz-Rock attivo nei ‘70) è l’altra faccia della medaglia di quei gruppi che a cavallo tra i Sessanta e i Settanta hanno contribuito a rendere il Rock un autorevole laboratorio di formidabili ibridazioni musicali: Cream, Colosseum, Soft Machine e King Crimson (tanto per citare i primi e tra i più famosi e influenti del panorama europeo) hanno dal versante rock “guardato” parecchio all’americano Jazz.
Il primo disco degli Area che ebbi (e che ascoltai) fu Crac. Mi ricordo che oggi come allora era estate, forse del 1980. Loro mi attraevano moltissimo, erano complicati… Però un paio di brani di Crac (o meglio, uno e mezzo) mi sembravano come dei qualsiasi pezzi rock: Gioia e Rivoluzione e la seconda parte de La Mela di Odessa. Non a caso sono in assoluto tra i loro brani più famosi. Gioia e Rivoluzione non mi attirava musicalmente, troppo canzoncina, però “La mela” sì!
Il suo riff mi stregava, tante note (23) ma così cantabile… E siccome ero nell’adolescenza anche per quanto riguardava lo studio musicale, pensai bene di misurarmi con quello che percepivo alla mia portata: mi sbagliavo. Poco ci mancò di esser travolto dalla delusione di non esser stato capace di trascriverlo ed eseguirlo correttamente, di lasciar stare lo studio... La forma offre un elemento identificativo stabile della realtà, infatti spesso di questa tendiamo a prenderne possesso proprio attraverso la percezione della forma; la nostra pulsione è definirne i contorni. Tendiamo perciò ad avvertire la forma per la sua funzione regolatrice. A volte, più o meno consciamente, non comprendiamo una forma ma sentiamo che c’è, per noi è indefinita e quindi ci sfugge, tuttavia non avvertiamo disordine, perché c’è...
La musica è un’organizzazione di suoni (e silenzi) che in massima parte sono note, ossia suoni (a loro volta intrinsecamente correlati in modo aritmetico) generati dalla nostra voce o strumenti specificamente costruiti. La nostra prima esperienza paramusicale l’abbiamo col ritmo del cuore ancor prima di nascere. Ciò attiene al basilare concetto ritmico di suono/silenzio. Ed è proprio alla nozione di dualità cui semplicemente ci riferiamo come primaria esperienza musicale, che ci aiuta a comprendere come la musica è massimamente percepita. D’altronde è nelle differenze che si intendono meglio le cose, nel loro confronto.
Il terzo disco della Mahavishnu Orchestra, Between Nothingness & Eternity è un disco molto più interessante di quanto potrebbe sembrare: ha alcune singolarità. Quella che salta subito all’occhio è che consta solo di inediti: tre brani (naturalmente piuttosto lunghi). Pertanto non sono inclusi alcuni cavalli di battaglia come quasi sempre accade nei dischi registrati dal vivo. Si potrebbe pregiudizialmente pensare sia un disco un po’ raffazzonato, tanto per pubblicare qualcosa magari per contratto: il gruppo era pervaso da malumori e litigi, infatti, la prima versione della MO ebbe termine proprio con questo album, registrato al Central Park di New York nell'agosto del 1973 e pubblicato in novembre.
Dopo dodici numeri trascorsi tra Stati Uniti e Inghilterra eccoci sbarcare finalmente in Italia. Per la prima volta, infatti, ci occupiamo di un gruppo di casa nostra, la PFM, forse il più grande, quasi certamente il più celebre al di là dei nostri confini. Per la prima volta, inoltre, l’argomento di un nostro libro è stato scelto dai lettori attraverso un sondaggio sulla pagina Facebook di questa collana. A gran voce, con un risultato pressoché plebiscitario, ci è stato indicato il nome del gruppo milanese (a scapito di Lucio Battisti – ma gli ammiratori del musicista di Poggio Bustone non disperino). Infine, anche la copertina del libro è stata selezionata con lo stesso metodo.
Nel Rock e dintorni ci sono brani gemma di ogni tipo, dalla ballata più lirica all’assalto metallico più feroce, dalla suite più complicata a Waves Within. Questa gemma strumentale è di Santana e contenuta nel suo capolavoro, Caravanserai del 1972, ed è in sostanza una base per un lungo assolo di chitarra elettrica. Pezzo poco celebrato anche dai fan. Come tipologia di brano Waves Within ha pochissimi precedenti e successivi: meno di quattro minuti di cui quasi tre di assolo, senza tema melodico, soltanto quattro accordi e con una forma monoblocco. È una prodigiosa alchimia tra Europa, Africa, Stati Uniti e America latina, tra il Rock, il Jazz e le musiche etniche.
La stragrande maggioranza dei brani di successo sono più che semplici, però quelli che si usurano meno, diventando dei “classici”, spesso hanno delle caratteristiche occulte. Questo è il loro segreto: avere dei segreti. Il piano su cui sono erette la stragrande maggioranza delle musiche di successo è quello assiale dell’occidentale “tonalesimo” con la parificazione ritmico-metrica, pertanto tutto ciò che devia da questo, con vari livelli di gradualità, struttura ulteriori tensioni e quindi rende più dinamica la forma. Anomalie creative.
All’alba del 1972 (gennaio) è pubblicato il primo disco del nostro maggior gruppo Rock, la Premiata Forneria Marconi. Si chiama Storia di un Minuto e contiene sette brani (tra cui due pubblicati nell’autunno precedente in forma di 45 giri: Impressioni di Settembre e La Carrozza di Hans). La PFM è costituita da Franco Mussida, chitarrista e compositore delle musiche, Mauro Pagani, flautista, violinista e autore dei testi*, Flavio Premoli, tastierista, Giorgio Piazza, bassista e Franz Di Cioccio, batterista; tutti cantano.
Il 19 febbraio 1971 gli Yes pubblicano il loro terzo disco The Yes Album. Il gruppo inglese riparte da questa importante opera dopo due dischi più che buoni (Yes e Time And A Word) pubblicati precedentemente, interessanti sotto vari profili. Entra in squadra Steve Howe al posto del pur bravo Peter Banks. Howe sarà colui che incarnerà il chitarrista di riferimento in quanto a versatilità ed espressione “pirotecnica” sia per quanto concerne i generi e stili chitarristici sia di suoni e modi d’impiego della chitarra (e i suoi derivati cordofoni: lap steel, mandolino ecc.). E’ il chitarrista di stile più schiettamente americano di tutti i suoi coevi colleghi. Howe contribuirà anche come compositore. (All'opposto questo disco sarà l’ultimo del tastierista Tony Kaye, sostituito da Rick Wakeman dal successivo disco Fragile)
Black Dog, uno dei brani di maggior successo dei Led Zeppelin, apre il loro quarto disco (Zoso) pubblicato nel 1971. È musicalmente un pezzo paradigmatico, quindi interessante.
Nulla in musica è casuale o effetto di qualche fulminazione divina; anche ai più bassi livelli è necessario un progetto e una messa in opera che solo dopo anni di specifico apprendistato cognitivo e strumentistico può produrre decenti risultati. Però è fuor di dubbio che il Rock in tal senso è un genere efficientissimo, soprattutto quello a grandissima trazione chitarristica, di derivazione più schiettamente Blues e R&R: con pochissimo si ottiene moltissimo. Impatto formidabile, affascinante.
Jethro Tull, prima del Prog. Sarebbe potuto essere il titolo di questo volume 12 di Dischi da leggere. Sì, perché del gruppo britannico abbiamo scelto tre dischi che formano un corpus particolare (la trilogia celtico-sassone, come la definisce Carlo Pasceri nel libro), uno l’evoluzione dell’altro fino a sfociare nel capolavoro Aqualung che, lo diciamo sin da subito, non è un disco Progressive, come da sempre affermato da certa critica “distratta”: non lo è nelle forme e nei contenuti musicali realizzati dai JT. Ma avrete modo di approfondire questo e molto altro all’interno del volume.
I King Crimson con il loro primo disco “In the Court of the Crimson King” (10 ottobre 1969) hanno elaborato in modo sofisticato gli elementi più semplici di un certo fare Rock, immettendoli in un involucro diverso. Hanno prodotto in questo modo un disco che diverrà epocale.
Miles Davis, figura musicale incomparabile di trombettista, compositore e leader di una pletora di gruppi di tutte le specie, attraversando quasi mezzo secolo del secondo Novecento, ha innovato in modo pressoché continuo. In questo brevissimo profilo si pone l’accento sull’aspetto strumentistico, tentando di trarre alcune conclusioni…
Castello di Carimate, dintorni di Como, autunno 1979, si sta registrando il terzo disco del giovane ed emergente cantautore napoletano Pino Daniele, quello che lo proietterà nell’empireo della musica italiana: Nero A Metà. I dischi immediatamente successivi eleveranno Daniele ancor più, confermando che non solo è nata una stella, ma che splende sicura come quella polare; allo zenith. Il disco è intriso di qualità a tutti i livelli; sarà un capolavoro.
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Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Aprile 2023
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