No, non è il punk, è il free-jazz.
Soprassedendo gli esperimenti di Lenny Tristano di fine anni Quaranta (e poi di altri), il free-jazz (chiamato all’inizio “new thing”) è nato e cresciuto in USA negli anni Sessanta per opera di musicisti di colore.
Musica di protesta sociale, aggressiva, rapidissima, esasperata ed esasperante, incentrata sul rifiuto delle norme e regole compositive e tecnico-strumentali; e delle gerarchie. Trasgredisce tutto e tutti. No, non è il punk, è il free-jazz. Soprassedendo gli esperimenti di Lenny Tristano di fine anni Quaranta (e poi di altri), il free-jazz (chiamato all’inizio “new thing”) è nato e cresciuto in USA negli anni Sessanta per opera di musicisti di colore. E nel 1971 (registrato l'anno precedente) è pubblicato Where Fortune Smiles, successivamente accreditato al solo nome di John McLaughlin; un’opera discendente dall’esperienza che in quegli anni aveva raggiunto il culmine, che stava fecondato continenti diversi e musicisti non necessariamente legati alla causa del Black Power. Ciò indica il poderoso impatto che la “new thing” ebbe nella comunità musicale.
0 Commenti
L'immagine al centro di questo post a molte persone non dirà nulla. Questo però è, come dire, nero su bianco, uno dei riff che gli italiani conoscono maggiormente. Lo conoscono anche quelli che poco o nulla si sono interessati alla musica più impegnativa o a quella strumentale. Lo conoscono perché c’è stato un gruppo, di musica strumentale, che al culmine dell’esiziale crisi della stagione aurea che ha attanagliato il grande Rock e dintorni seppe conquistare una considerevole quota di importanza (anche internazionale) a tutt’oggi riconosciuta: i Goblin.
Il Funk è nato nella seconda metà dei Sessanta, sviluppo del R&B e per certi versi del soul-jazz; il brano in assoluto più influente fu Papa's Got a Brand New Bag di James Brown. Dunque lui indicò la strada, e appena dopo altri giganti come Stevie Wonder, Marvin Gaye e Sly Stone l'ampliarono e prolungarono. Elementi primari nel Funk sono il riff e il portamento di un'onda energetica in bassa frequenza: spesso li fornisce il basso con parti molto sincopate e in controtempo.
D'altronde a ben ascoltare, il protofunk, anche quello più nobile proveniente dal Jazz, ha caratteristiche simili, seppur meno prepotenti. Pat Metheny è in assoluto tra i più grandi chitarristi-compositori contemporanei, ma io lo trovai all’inizio un po’ scialbo e antipatico.
Yellowjackets (=Vespe) è il curioso nome di uno tra i massimi gruppi della Fusion. Il primo nucleo vede il tastierista Russell Ferrante, principale compositore, il chitarrista Robben Ford, il bassista Jimmy Haslip e il batterista Ricky Lawson; poi a rotazione altri bravissimi strumentisti. Misero a segno un formidabile uno-due pugilistico con il loro primo disco omonimo nel 1981 e Mirage A Trois (il loro primo capolavoro del 1983), che l’imposero sulla scena internazionale già come dei moderni punti di riferimento; ebbero un discreto riscontro di pubblico.
“Poli-”: primo elemento di parole composte di origine greca o moderna, indica molteplicità numerica o quantitativa. Questo recita il dizionario di un prefisso che calza a pennello a Jack DeJohnette, compositore e polistrumentista di Jazz e dintorni, in special modo batterista. È una delle figure musicali più “poli...”.
Volevo raccontare del viaggio inaugurale di Herbie Hancock che tanto ha affascinato generazioni di ascoltatori e musicisti, ma non lo farò. Di un pezzo di musica jazz tra i pochissimi a esser divenuto uno standard (ossia un brano di riferimento nel genere jazz) pur non possedendo alcuna caratteristica swing, né riff né rimandi blues.
Una stravagante ballata che è in assoluto il brano preferito da Hancock (nato per un jingle). Dirvi del suo sondare ampi spazi ignoti, per poi ben scandagliare le parti più ammalianti; e invece no. Della sua materia e forma, della sua carne e sangue, del suo essere fuori schemi con garbo. Meglio tacere. Sovente in musica si ha come l’incanto del cerchio. È proprio la netta percezione di semplicità offerta dal seguire senza alcuna difficoltà quell’unico costante tratto della sua perfetta traiettoria nello spazio, che cela ulteriormente il fatto che per le operazioni di calcolo determinanti le sue proporzioni è necessario ricorrere a una particolarissima chiave matematica (π). D'altra parte in tutti i campi l'esplicita complessità diffusamente affascina. Desta interesse, meraviglia; indica sapienza, suscita se non passione perlomeno stima e rispetto. La complessità di per sé segnala competenza in quel dato settore ove si manifesta, propone evoluzione giacché è logicamente atta ad ampliare le potenzialità creative: moltiplica le opportunità di essere originali. Naturalmente anche in musica accade ciò, da Bach a Zappa, dal Progressive al Jazz-rock, da Stravinsky e Schoenberg ai Weather Report e, per arrivare ai giorni nostri, Dream Theater sono tutti artisti e generi che hanno esplicite complessità nei loro brani.
Ho letto di cose musicali sicuramente prima di suonare; per certi versi anche prima di ascoltare. Era intorno alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, io ragazzino, studente delle scuole medie, cominciavo ad appassionarmi di musica. Ne girava tanta, ma non tanta come oggi, solo migliore. Non ero certamente isolato, parecchi adolescenti a quell’epoca ascoltavano con fervore gruppi e musicisti, solo che ben più di altri ero un avidissimo lettore di riviste musicali. Approfittavo del fatto che mia madre lavorava in un’agenzia di servizi stampa, perciò in casa giravano un sacco di pubblicazioni… Continuò per oltre un decennio; le collezionavo, ne ero sommerso. Contemporaneamente avevo iniziato a studiare musica e chitarra.
|
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
Archivio
Ottobre 2024
Categorie
Tutti
|
designed by ALi