La più che stragrande maggioranza non ci riuscirà.
“alcune popolazioni di aree remote del Sudan centrale avevano sistemi pentatonici che derivavano dalle formanti del parlato umano la cui consapevolezza esplicita arrivava fino alla nona armonica”. In aggiunta “Già in Africa occidentale ho trovato tracce che l’ambito delle armoniche da 6 a 9 (ambito di quinta) può essere usato in combinazione con la sua trasposizione una quinta sotto per formare una scala, come se la stessa melodia fosse articolata prima da una donna poi da un uomo.”
Dunque, un sistema di suoni derivante dall'interferenza tra due sub-scale di armoniche naturali generate da due note poste a distanza di una quinta (nemmeno intonate da un canto ma generate e quindi percepite dal banale parlato), dalle quali (le sequenze delle armoniche) si desumerebbe un’intera scala con le due blue notes di terza minore e settima minore*. Sbalorditivo.
Kubik quindi asserisce che la scala blues deriva da questo eclatante virtuosismo percettivo-cognitivo; nonché parecchio intellettuale, infatti, le armoniche oltre a essere desunte da due sequenze di note percepite semplicemente dal parlato (estraendone le due fondamentali in questo caso Do e Fa), poi vanno scelte, interpolate e messe in ordine nell’ambito dello spazio di ottava per formare la definitiva scala. E tutto ciò sarebbe stato fatto a orecchio, verbalmente e mnemonicamente. Stupefacente iperselettività**.
Peraltro la scala blues di Kubik riprodotta e “sposata” da Zenni è di ben 11 note su quasi due ottave di cui 8 diverse (altro che pentatonica blues).
Do-Re-Mib-Mi-Fa-Sol-La-Sib (Do)***.
Nessuno sa davvero perché, ma alcuni fatti fanno supporre che ciò derivi dalla sovrapposizione (empirica o razionale) delle note per intervalli di quinte giuste. L’intervallo di quinta è quello più consonante di tutti (dopo quello di ottava), ha una qualità affatto simile, si fonde (e confonde) perfettamente con esso.
Quindi se si inizia da una frequenza poniamo nota Do, la sua quinta (frequenza che sta in rapporto 3/2) è Sol; questa a sua volta ha il Re che ha il La che a sua volta ha il Mi****.
Messe in ordine nello spazio di ottava ecco l’invalsa scala pentatonica: Do-Re-Mi-Sol-La-(Do).
La sua struttura è T-T-1,5T-T-1,5T; pertanto è costituita da intervalli di tono e tono e mezzo, senza semitoni, anemitonica. Peculiarissimo modello melodico, un po’ scala un po’ arpeggio; efficientissimo per scolpire agevolmente incisive melodie con pochissime note.
Allorquando volessimo trovare le agognate blue notes (e magari la scala octofonica di Kubik) basterà semplicemente intonare tre quinte discendenti dal Do: Fa, Sib e Mib. Nessun supervirtuosismo prossimo a divine capacità. (E questa non è l’unica elementare procedura.)
Insomma, avere il preconcetto che il Blues (e il Jazz) provenga essenzialmente dall’Africa porta a esacerbate forzature per sostenere (quasi ideologicamente) la propria convinzione, o tesi precedentemente esposte*****. Avevo già scritto qualche anno fa a tal proposito.
Ribadisco che il Blues (come il Jazz) è frutto dell’incontro dei neri d’America con la cultura musicale americana (e quindi pure europea), e che le blue notes a sé stanti non esistono, hanno colore “bluesy” se collegate a particolari concatenazioni intervallari (meglio con micro inflessioni di altezze) e relativamente a una nota tonicizzata (meglio a un accordo maggiore)******.
Come d’altronde il portato del Blues (e del Jazz) è pure quello di avere, affatto differentemente dalla Classica (ormai dimentica dei melismi medievali), diffuse zone d’intonazioni variabili (non solo tra terza minore/maggiore o eseguire la settima naturale – quella dell’armonica), al fine di ottenere peculiare espressività e quindi individualità mediante queste flessibilità.
La musica è già una faccenda molto complessa, che non si renda inutilmente tanto complicata quanto poco credibile: spiace ancor più quando tali cose sono propalate da studiosi di fama.
* Tralasciando ininfluenti dettagli tecnico-teorici inerenti al fatto che alcune armoniche non corrispondono esattamente alle frequenze della scala temperata (adottata solo dal ‘700, non senza difficoltà e resistenze protrattesi per molto tempo: prima di allora in Occidente le frequenze delle note erano perlopiù di intonazione naturale o di temperamento mesotonico).
** Giova rammentare che le armoniche sono state intuite solo nel ‘600 da Cartesio e provate definitivamente nel ‘700 dal fisico e matematico francese Joseph Sauveur. Prima di allora, pur moltissimi avendo analizzato e praticato per oltre due millenni, da Pitagora in poi, nessuno ne aveva dato notizia: non ci fu consapevolezza che alcune note dell’intonazione naturale (Tolomeo-Zarlino) coincidessero con alcune armoniche della nota matrice. L’aggettivo naturale discende dal concetto che i suoni generati dalle proporzioni (più semplici) tra numeri interi sono le più armoniche, ossia le più consonanti; non dal fenomeno fisico delle armoniche.
*** Se della scala rappresentata si considerasse invece solo il segmento da Do a Do (Do-Mib-Mi-Fa-Sol-Sib-Do), è una tradizionale scala conosciuta in India come Raga Bhanumanjari.
Se si selezionasse solo il segmento Do-Do sarebbe una prestazione percettivo-cognitiva ancor più inverosimile: delle 18 armoniche presuntivamente percepite prima se ne selezionano 11, che peraltro vanno riordinate, poi l’iperselettivo perfezionamento a 7.
**** Tuttavia ci si potrebbe chiedere perché limitarsi a cinque, non continuando oltre il Mi; da considerare che la sua quinta è il Si, che va a infrangere la coerenza strutturale (peraltro alla fine del segmento) quindi la sua peculiarità, perché introduce un intervallo di semitono (sul Do).
Dunque è plausibile ipotizzare che sia stata una questione soprattutto di effetto e prassi: una scala di soltanto 6 note, ma con ben 3 classi di intervalli, non solo ha un suono tanto più sofisticato quanto meno diretto e incisivo, ma è più difficile da gestire e intonare.
Non va dimenticato che stiamo vagliando antiche culture tribali. Quella greca, la razionale e intellettuale per eccellenza, è andata ben oltre.
***** Ancor più diffusa l’errata idea che i ritmi “identitari” del Blues e del Jazz discendano da quelli africani: sono le musiche caraibiche con i loro fantasmagorici ritmi che hanno questa discendenza.
****** Se fosse vero che la terza minore e la settima minore (e la quarta diesis) sono in assoluto note “blues” appena si suonano queste note quale che sia il contesto e la circostanza si giungerebbe perlomeno a bluesizzare il brano: dunque in tutta la musica medievale, rinascimentale, barocca ecc. o mai si sono suonate quelle note o, se è stato fatto, hanno bluesizzato ante litteram e quindi anacronisticamente quei brani, senza peraltro avere alcun contatto con la musica di “alcune popolazioni di aree remote del Sudan centrale” e dintorni.