Sorta di “slowhand” del pianismo jazz e mai complicato compositore, Hancock privilegia la sinuosità armonico-melodica e incisività ritmica; si distingue per uno stile pianistico (e compositivo) non fondato su appariscenti virtuosismi, complicazioni e velocità, ma su un raffinato linguaggio a tutto tondo, melodico-armonico-ritmico (e timbrico), che coniuga fluenti parabole melodiche con irruzioni ritmiche dirompenti (“fortissima” mano dx), mediando il tutto con un moderno incedere che sfrutta gli approcci cromatici, però disallineandosi dalle formule be-bop (e hard-bop).
Forzato da Davis nell’uso degli strumenti elettrici (piano e organo), se ne innamorò, divenendone appena dopo, un pioniere. All’alba degli anni Settanta fonda due gruppi “elettrici” molto importanti: Mwandishi e Headhunters.
Il secondo, quintetto che debuttò nel 1973 con il clamoroso successo di vendite dell’omonimo disco, è un ragguardevole gruppo di funk strumentale declinato con linguaggio jazz.; andò avanti fino alla fine dei Settanta, degradandosi fino a un esplicito approdo del genere Dance.
Nel frattempo riprese la carriera di un più ortodosso Jazz acustico, ma non rinunciò a rinnovare nei primi Ottanta la ricerca di linguaggi giovanili più innovativi: nel 1983 con il techno-rock/dance di Rockit (album Future Shock) ebbe un successo da pop star.