È una pratica iniziata già tempo addietro, in epoca moderna, ma perfezionata con le tecnologie contemporanee, che consentono sia manipolazioni tanto facili quanto profonde, impensabili fino a qualche anno fa, sia approvvigionamenti culturali e fattuali della “letteratura” precedente: accesso – pressoché gratuito - a tutto lo scibile musicale.
Strumentali o cantate che siano, le musiche del XXI secolo che appaiono più di buon rango di solito sono semplicemente ammalianti “verniciature” con pochissima sostanza dietro.
È una pratica iniziata già tempo addietro, in epoca moderna, ma perfezionata con le tecnologie contemporanee, che consentono sia manipolazioni tanto facili quanto profonde, impensabili fino a qualche anno fa, sia approvvigionamenti culturali e fattuali della “letteratura” precedente: accesso – pressoché gratuito - a tutto lo scibile musicale.
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Esplorando Witchi Tai To, strani incroci geografici, temporali e di culture; Norvegia, costa est e costa ovest degli U.S.A., attraversando il Midwest del Missouri e gli Stati Uniti Centrali del Sud dell’Oklahoma.
E già, sono appena tornato da un lungo e intrigante “viaggio” che l’amico Antonio Lisi mi ha invitato di fare per approfondire la conoscenza di quel bizzarro brano di Jim Pepper (sassofonista e compositore), che pubblicò nel 1969 (in un 45 giri) con il suo gruppo Everything Is Everything. Gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta del ‘900 fusi in una canzone di enorme successo, tra le più famose in assoluto di David Bowie.
Let’s Dance è un brano dell’omonimo disco pubblicato nel 1983, in cui è evidente la proficua “mano” del musicista-produttore Nile Rodgers, che ha affiancato Bowie per l’intera realizzazione del disco. La particolarità di questa canzone è la manifesta osmosi dei caratteristici fattori musicali di quei tre decenni, in un’operazione tanto sfrontata e spavalda quanto sofisticata e azzeccata. Un caleidoscopio temporale in forma di musica. Il “dark side of the love supreme” di John Coltrane fu registrato sei mesi dopo il “lato chiaro”: ma Transition non fu pubblicato in quel periodo, solo anni dopo, e ciò ha contribuito a depotenziare il suo impatto*.
E se è vero come è vero che raramente i dischi postumi dei grandi artisti sono ottimi dischi, Transition è uno di questi. Registrato in due sessioni: 26 maggio e 10 giugno del 1965, pubblicato nel 1970; col suo classico quartetto, McCoy Tyner al piano, Jimmy Garrison contrabbasso ed Elvin Jones batteria. Brevissimo e semplice riff usato in più sezioni (intro, A e soli), B e C.
La forma della canzone Diesel di Eugenio Finardi è tutta qui: A, B e C, un elementare abbecedario; eppure è straordinaria. Lo è anzitutto perché c’è l’intervento solistico al piano elettrico di un eccezionale musicista: Patrizio Fariselli, tastierista e leader del formidabile gruppo jazz-rock Area. Con i suoi interventi solistici ha potentemente innervato di Jazz un brano Pop-Rock. E ciò fu tra i primissimi esempi, se non il primo, nell’ambito del panorama nazionale. (Per quello internazionale lascio ai lettori il divertimento nel ricercare dei precedenti; non sarà facile: buona caccia.) Io Vivo Come Te è una canzone di Pino Daniele pubblicata nel 1982 e contenuta nel suo quinto disco Bella ‘mbriana.
Brano lento di circa quattro minuti, ha più di un aspetto interessante; per quanto una canzone parecchio semplice. L’album è suonato da un gruppo straordinario: oltre a Pino (voce e chitarra) c’è Tullio De Piscopo (batteria), Joe Amoruso (tastiere) Rosario Jermano (percussioni) e due fuoriclasse internazionali: Wayne Shorter (sax soprano) e Alphonso Johnson (basso). He Loved Him Madly è il primo requiem elettrico – visionario - di un grande jazzista, e in assoluto il più lungo.
Benché una smentita può esserci dietro l’angolo, in ogni caso, questo brano è straordinario. Registrato nel giugno del 1974 fu pubblicato nel novembre dello stesso anno nel doppio Get Up With It , ultimo album in studio di Miles Davis prima dei cinque anni del suo ritiro. É cosa nota che Chuck Berry sia tra i genitori del Rock, essendo tra i colossi del Rock'n'Roll degli anni ‘50-’60.
Nel 1956 fu pubblicato un singolo contenente un eccentrico brano, Havana Moon (poi inserito nell’album After School Session – 1957). Parecchio singolare; non è un blues né r’n’r o simili né una ballata. Ritengo sia tra i pezzi più minimali in assoluto, sia formalmente sia come contenuti; peraltro nemmeno molto breve. Il settimo colore dell’arcobaleno musicale dei Weather Report è il loro maggior successo: Heavy Weather (1977).
I sei colori dei sei anni precedenti (più Live in Tokyo) furono una meravigliosa traiettoria che incantò tutti. Dai primi due, più astrali (l’omonimo e I Sing The Body Electric), agli ultimi due, più terragni (Tale Spinnin’ e Black Market), presentarono una stupefacente progressione d’ibridazione musicale tra sperimentazione ed etno-world, partecipando in modo apicale all’innovazione del linguaggio musicale che a quel tempo si stava compiendo, che nominarono Jazz-Rock e Fusion. Stone Free è la prima canzone che Hendrix compose per il suo gruppo The Jimi Hendrix Experience, fu pubblicata nel dicembre del 1966* come lato B del suo primo singolo " Hey Joe ".
Dai racconti fatti, Jimi non l'ha scritta volontariamente. Voleva arrangiare Land Of 1,000 Dances (Chris Kenner) come lato B di "Hey Joe", ma il suo produttore Chas Chandler gli disse che era meglio che scrivesse qualcosa… Questo articolo è tratto dal libro: Pink Floyd - The Dark Side of the Moon (Analisi musicale e guida all'ascolto)
The Great Gig in the Sky è il titolo di un celebre brano pubblicato dai Pink Floyd, nell’ancor più celebre disco The Dark Side Of The Moon del 1973. Il pezzo non era in origine granché, anzi, ma ciò che fece la differenza* fu la lunga improvvisazione vocale di Clare Torry, una giovane cantante professionista inglese, chiamata all’ultimo momento per “riempirlo” e tentare così di “salvarlo”. Monumentale: di ciò che, per le sue dimensioni, dia impressione di grandezza e solennità.
Così il vocabolario Treccani. Così per Since I’ve Been Loving You pubblicato dai Led Zeppelin nel loro III nell’ottobre del 1970. Una lenta canzone blues (minore), monumentale.
Sgomenta che dalla straconosciuta e abusata scala blues (la Pentatonica minore con aggiunta una nota di passaggio - la quinta bemolle), impiegata in innumerabili assoli e alcuni tra i più celebri riff del Rock, si tiri in ballo la Sinfonia n.5 di Beethoven.
Con la locuzione “opera di transizione” spesso s’indica qualcosa di più bassa qualità del solito, di un po’ confuso, incompiuto: la parola transizione come sintesi rappresentativa di una crisi.
Invece questa fase di passaggio per i grandi artisti è non raramente una condizione di grande fermento creativo e importanti realizzazioni. Un plastico esempio è dato dai Weather Report con il loro quarto disco in studio Mysterious Traveller (1974). Qualunque ascoltatore può immaginare che una canzone accattivante, magari di successo, sia fondata su fattori molto semplici.
E spesso è proprio così; anche più semplici di quanto si pensi. Ma quei brani hanno sovente qualcosa che li distingue nella loro essenza. Uno di questi è I Wouldn't Want To Be Like You del gruppo britannico The Alan Parsons Project (di fatto il duo Alan Parsons- Eric Woolfson tastierista), pubblicato nel 1977 e contenuto nel disco I Robot. E.S.P. è tra i dischi più importanti della carriera di Miles Davis; per più di un motivo.
Fu registrato nel gennaio del 1965 e pubblicato l’agosto di quell’anno dal quintetto che da qualche mese suonava in giro per il mondo; oltre a lui alla tromba, c’erano Herbie Hancock al piano, Wayne Shorter al sax, Ron Carter al contrabbasso e Tony Williams alla batteria. Le sette composizioni sono tutte a firma di uno dei componenti del gruppo (due la coppia Carter-Davis) fatto salvo il batterista, e si discostano significativamente dalle cose fatte fino ad allora; è un disco di svolta. Oltre a essere “democratico” nelle autorialità delle composizioni è assai equilibrato in quanto ad assetti musicali, sia percettivi sia nella sostanza. Questo articolo è tratto dal libro: The Dark Side of the Moon (Analisi musicale e guida all'ascolto)
Money dei Pink Floyd è tra i brani Pop-rock più famosi ma meno “conosciuti”. Pubblicato nel celebre disco del 1973 The Dark Side Of The Moon, è tra le hit che più si può considerare fusione di fattori semplici ma determinanti di vari stili e generi. Blues, Reggae, Rock, Progressive e R&B, ciò che più connette in Money questi generi è l’andamento ritmico: per tutta la sua durata è pervaso e “sorretto” dal ritmo terzinato shuffle (tipico del Blues e i suoi derivati). L'altra caratteristica sono le parti di basso, oltre quella celebre ed evidente del riff principale: sono le fondamenta propulsive di tutte le fasi di Money. Mi rammarica non avere più il mio primo strumento; sono oltre quaranta anni che mi manca.
Da ragazzino undicenne avevo dei bonghi nordafricani che malamente percuotevo, tentando di andare appresso ai brani dei miei beniamini musicali. Ho continuato così per qualche anno, pure dopo che ebbi la mia prima chitarra. Benché il mio primo incontro con la musica (che non fosse solo ascoltarla) fu con una tastierina elettronica Bontempi che aveva un mio amichetto di 9 o 10 anni. Chi ha l’adolescenza parecchio alle spalle lo sa bene, di quel periodo rammentiamo nostalgicamente alcune esperienze, anche piccole, di apparente insignificanza, ma che per qualche motivo ci portiamo dentro e che a volte riaffiorano in modo prepotente.
Spesso sono legate alla musica; d’altronde non è da oggi che la musica permea in modo quasi invasivo le vite di tutti noi. Dei nostri cinque sensi la vista e l’udito sono quelli che associamo più facilmente e potentemente a ciò che ci accade, soprattutto in termini mnemonici. L’olfatto, il tatto e il gusto molto meno. Nel 1987 Wynton Marsalis pubblica il disco Standard Time Vol.1, un’opera che si discosta dalle due precedenti, Black Codes e J Mood (di notevole pregio), in cui non erano presenti standard e lui ne era quasi esclusivamente l’autore.
Qui propone sue interpretazioni di brani della comune “letteratura” jazz. E pure questo disco è di gran rango, a fronte sia degli arrangiamenti sia delle esecuzioni generali; svettano i suoi solismi e quelli del pianista Marcus Roberts (sostituì da J Mood Kenny Kirkland). Oltre a consueti pezzi come Caravan, A Foggy Day e Cherokee, sono presenti anche due sue composizioni: Soon All Will Know e In the Afterglow. Ma è il brano più famoso in assoluto della selezione, Autumn Leaves, che riceve un arrangiamento, nell’esposizione del tema, degno di essere messo in evidenza per la sua peculiarità; al netto della sua estrema velocità. Far soffermare chi è a digiuno di grammatica musicale a un ascolto pure solo appena più attento e quindi consapevole di ciò che sta accadendo musicalmente, è compito arduo, tuttavia ci proviamo.
E una semplicissima canzone, una hit di sessant’anni fa di due minuti, può far al nostro caso; può far comprendere anche a chi non ha alcuna istruzione musicale come la forma strutturale, il “contenitore” di melodie e accordi (le parti cosiddette introduzione-strofa-ritornello ecc.), divenga, allorquando non è quello solito, un fattore importante. Una decina di anni fa un caro amico mi fece ascoltare la breve canzone Mad World, nella versione di Michael Andrews e cantata da Gary Jules: me ne innamorai immediatamente.
È un brano dell’ottimo gruppo inglese Tears For Fears*, segnatamente composto da Roland Orzabal, originariamente pubblicato nel 1982. L’arrangiamento di Andrews fu pubblicato nel 2001, usato per la colonna sonora del film Donnie Darko. Le due canzoni come melodia, accordi e struttura non presentano diversità, per il resto divergono quasi totalmente. Comunque ebbero tutte e due successo. È cosa risaputa che la musica ha la speciale dimensione del tempo; il suo inesorabile fluire.
E tutti i musicisti, chi in modo più consapevole e dotto, chi meno, chi in modo abilissimo esecutivamente, chi meno, devono tenere in considerazione questo fattore fondamentale, determinante. Certamente per la stragrande maggioranza di chi ascolta ciò è alquanto ineffabile; infatti, al netto di quando si ascolta la musica per ballare (pertanto in maniera utilitaristica ci si sincronizza con la pulsazione* dominante che è appositamente più che palese), sovente si presta attenzione ad altro: melodie, suoni, ecc.; sebbene questo non significhi che i ritmi siano snobbati, no, ma… Ero un ragazzino con qualche brufolo e un incipiente mal adattamento scolastico all'indirizzo scelto per la scuola superiore quando ascoltai per la prima volta John McLaughlin: ne rimasi, naturalmente, molto colpito. Quasi mi stordiva la sua aggressiva velocità e reticolare complessità.
Alle profonde cause della sua grandezza giunsi molto più tardi, e molto faticosamente. “Incontrai” tale gigante, né rock né di facile ascolto, sia per la sua “fratellanza” con Devadip Carlos Santana sia per la sua gran reputazione; ovviamente attraverso i dischi del suo gruppo Mahavishnu Orchestra ma pure quelli solisti quali Extrapolation (1969), My Goal’s Beyond (1971) ed Electric Guitarist (1978)*. Tutte opere straordinarie, per specifici motivi differenti, correlate però da un’eccezionale creatività (e abilità esecutiva). Solar è un brano jazz molto interessante, tanto noto quanto misterioso, per vari motivi.
Fu registrato e pubblicato nel 1954 da Miles Davis nel disco Miles Davis Quintet (poi ancora stessa versione nel ‘57 nel disco Walkin’), di cui pure è autore. E qui il primo e più prosaico arcano: che Davis fosse piuttosto disinvolto nell’appropriazione di idee altrui è cosa risaputa, com’è ormai risaputo che il chitarrista Chuck Wayne suonava un pezzo del tutto simile già nel 1946: ma non fu mai pubblicato, e non si sa come Davis sarebbe venuto a conoscenza del brano (conosciuto poi come Sonny). |
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Febbraio 2025
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