Fondato e capeggiato dal batterista-compositore (occasionalmente cantante, tastierista e percussionista) Christian Vander. Batterista straordinario, non apprezzato quanto merita, forse anche perché, a cominciare dal mix del suo strumento alle parti che idea ed esegue, mai egotico (strumentalmente), sempre al miglior servizio dei brani nel loro insieme: un vero compositore e leader.
In questo periodo sono stati pubblicati sette dischi in studio e uno dal vivo; e la parabola creativa dei Magma ha avuto il suo vertice nel 1973 con il terzo disco: Mëkanïk Dëstruktïẁ Kömmandöh, che coincide con la loro opera più apprezzata*.
Comunemente i Magma sono considerati una band prog-rock ma non è così: un po’ come per i nostri Area, il fatto che ci siano dei brani cantati solitamente confonde.
Sicuramente parecchio "crossover" tra i generi, ma la loro musica è più ascrivibile al Jazz-Rock che al Prog, anche se si distinguono pure rispetto al Jazz-Rock stesso in alcuni fattori: meno aggressivi timbricamente, pochissime improvvisazioni e parti in acrobatici unisoni. Tuttavia ritmicamente alquanto swinganti o tribaleggianti, pertanto meno eurocentrici, dunque meno prog. I Magma davvero un caso musicale a parte.
Qua e là (nei primi due dischi) possono rammentare i più famosi e coevi Gong (e Zappa), al netto che al contrario di questi i Magma sono gravi, quasi sinistri.
I primi due dischi, l’omonimo Magma del ’70 (conosciuto pure come Kobaia) e 1001° Centigrades (del ’71, noto anche come Magma 2), potrebbero sembrare più convenzionali di quanto lo siano davvero.
Il primo (doppio Lp) presenta una musica molto scritta e affatto non improvvisata: non c’è alcun solo.
Si fa moltissima fatica a riscontrare precedenti in termini di contenuti, forma e stile. Né Jazz né Rock né Prog, debitori della Classica, i Magma mescolano tutto ciò in maniera originale. Musica molto difficile.
Le composizioni sono estremamente articolate e complesse, lunghe, perlopiù polarizzate modalmente ma mobilissime, con dense trame polifoniche quindi anche melodiche, con una moltitudine di pannelli che mutano rapidamente le scene musicali, con poco cantato (Klaus Blasquiz, peraltro in una lingua incomprensibile - il kobaiano - inventata da loro e declamatorio), senza tastiere (un po’ di pianoforte). Presenza massiccia dei fiati (tromba, vari sax e flauto) coi loro contrappunti e una ritmica (al basso Francis Moze) di agilità e precisione straordinarie. In assoluto a livello compositivo ed esecutivo tra i dischi più complicati del panorama.
L’assetto musicale (a parte il cambiamento quasi totale della formazione) trasla e ruota in ipnotico-ossessive reiterazioni di riff e parti cantate (soprattutto in coro) con invalse e continue mini variazioni, ipermodalità con reminiscenze di Wagner, Carl Orff (in particolare della trilogia “Trionfi”) e (in misura minore) Stravinsky, perciò di una trama operistica drammatica, guerresca e lirica, spasmodica e perfettamente controllata al tempo stesso.
L’intero MDK è in modalità di RE e privo di assoli.
Pertanto continuano a rinunciare alla scontata soluzione dei soli (oltre al cantato solista) che crea la solita bidimensionalità figura/sfondo; qui siccome pure ipermodali incrementano ulteriormente la già notevole compattezza: tetragoni, radicali.
Anche in questo eccellente ed estroso disco la coppia ritmica (al basso esordisce Jannick Top che diverrà pur sporadicamente l’unico altro compositore oltre Vander), a dispetto di un mix certamente non autoindulgente, esegue un lavoro tanto raffinato quanto efficace.
Köhntarkösz è composto di 4 brani, l’ossatura è l’omonimo diviso in due parti (una di 15 l’altra di 16 minuti), con cui si apre, le alternano Ork Alarm e Coltrane Sundia, due pezzi più brevi. Nella versione CD vengono riunite e i due brani corti posti a conclusione del disco.
La prima parte principia con una serie di accordi contrappuntati dalla batteria, prosegue con cambi armonici, melodici e ritmici, stabilizzandosi poi in 5/4 in un incedere, a dispetto della quasi ottimistica apertura, maestosamente lugubre. Aumentando progressivamente il grado di tensione mediante timbri, parti e incremento di velocità. Tuttavia la coda è distensiva; come l’inizio della parte 2.
Dopo qualche minuto su frasi reiterate (ma costantemente puntellate da variazioni e interventi) il brano prende un tempo di 3/4; gradualmente cambia atmosfera fino a sfociare, dopo il sesto minuto, in uno scenario più convenzionalmente jazz-rock ove Vander si stabilizza su un ritmo (2/4+2/8) e sale al proscenio un lungo e ottimo solo di organo. Il brano prosegue in un crescendo parossistico dinamico e di velocità, sciogliendosi verso il finale in 4/4 ma poi terminando, con assoluta naturalezza, lentissimo.
Non aggiunge nulla di particolare Ork Alarm, al netto della prestazione del suo autore, Jannick Top, che esegue pure una parte al violoncello.
Coltrane Sundia invece è una pacificata invocazione verso colui a cui Vander s’ispira: John Coltrane. Ma anche alla sua cerchia: alla moglie Alice Coltrane e come approccio e suoni batteristici prettamente jazz, a Elvin Jones (caratteristico il timbro della cassa piccola).
Un ottetto, Bernard Paganotti sostituisce Top al basso e c’è la novità del violino, suonato dal bravissimo Didier Lockwood, alle voci un duo complementare: l’inossidabile e luciferino Blasquiz e la celestiale voce della moglie di Vander, Stella, nel gruppo da MDK. Presenti brani editi, arrangiati anche parecchio, e due inediti**. Tanta raffinatezza e intensità.
L’intero primo disco è dedicato interamente alla riproposizione della suite Köhntarkösz, qui chiamata Köhntark (i nomi sono tutti un po’ mutati).
Segue Kobaïa, il pezzo trainante del disco d’esordio, tra i più normali e cantabili dei Magma.
Cantabile pure l’inedita Lïhns, particolarmente pacata, senza batteria, ha degli efficaci interventi col piano elettrico.
Anche la seguente Hhaï è molto melodica e lineare, rientra in scena la batteria ed è presente pure un solo di piano elettrico. Finale quasi operistico.
Il brano più notevole, quasi venti minuti, è l’ultimo: Mëkanïk Zaïn, arrangiamento della parte finale di MDK.
Dopo una lunga introduzione, a quasi tre minuti, rapido riff di basso elettrico in 7/8 con accordi di piano elettrico, groove con fulminei controtempi di batteria, si sovrappone l’improvvisazione di violino… In modo progressivo aumenta la velocità e con essa tutta la densità musicale, così giungono a oltre il decimo minuto a una tale velocità che tutto sembra disgregarsi; solo il piano elettrico resiste… A 11 minuti lamenti di violino, poco dopo fill di batteria e tutti all’inseguimento ancora più feroci di prima (è il ritmo in 7/8 più veloce mai ascoltato su disco: quasi 360 bpm) per poi fermarsi improvvisamente. Ma non è finita. Si riprende similmente, ma più lentamente, e rientrano le voci, per andare verso il finale, anche questo drammatico, operistico, parossistico. Spettacolare.
Apprezzabile il rinnovamento in termini sia di contenuti sia formali; brani più brevi e leggeri, la minacciosità luciferina si è trasformata in evocazioni di grotteschi personaggi danzanti. I timbri si fanno più sintetici (batteria elettronica e sintetizzatori), qualche parte di fiati. È in assoluto il disco meno composto da Vander.
Col pezzo Zombi si torna alle atmosfere cupe, anticipando De Futura; in grande evidenza il lavoro di Vander e Top. Dunque il lungo e conclusivo De Futura, suonato solo da Vander e Top (con la voce qua e là di Blasquiz). Notevole l’abilità di comporre con pochi elementi, inserendo variazioni (ed esecuzioni) così funzionali e importanti da rendere in maniera così tanto originali i contenuti (oltre che gli effetti). Soprattutto dalla seconda parte in poi, preconizza sorta di Techno-Metal.
The Last Seven Minutes e Maahnt le cose migliori.
Dalla metà dei Novanta, Vander ricostituisce il gruppo e suona dal vivo (ultimo disco in studio Merci del 1985: anomalo e trascurabile anche perché messe insieme registrazioni 1982-84).
I Magma sono ancora in attività, e sugli scudi, ma le cose migliori sono il primo disco in studio dopo la ricostituzione, KA Kohntarkosz Anteria (2004), che riprende tematiche degli anni d’oro. Anche il successivo Ëmëhntëhtt-Ré (2009) serba atmosfere convincenti. Poi troppa replica di idee.
I Magma, come tutti i più grandi gruppi, sono unici, ma loro un grado più di altri, per causa di un’estetica diversa da tutti. Comunque alcuni gruppi come i francesi Zao, Art Zoyd, Weidorje, e i più recenti Univers Zero (belgi), hanno ben assimilato l’immensa lezione dei Magma, portando avanti, in modo laterale, la loro individualissima filosofia musicale.
* Nei decenni successivi verranno pubblicate interessanti versioni alternative dell’opera.
** La recente versione in 2 CD ha due pezzi aggiuntivi