Carlo Pasceri
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Gradually Going Tornado di Bruford: guida all'ascolto

4/12/2022

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Più di 42 anni fa fu pubblicato un disco di Bill Bruford poco conosciuto ma di gran valore: Gradually Going Tornado. Registrato nell’estate del 1979 e nei negozi nel febbraio 1980; è la terza e ultima sua opera in studio col suo eccellente gruppo Bruford.
Dunque siamo all’alba degli Ottanta, e le cose in musica stavano già mutando da tempo, e ancor più mutarono soprattutto in Europa nel corso dei successivi anni. D’altro canto Bill Bruford con Robert Fripp nel 1981 ricostituì un’edizione affatto diversa dei King Crimson scioltisi nel 1974.
Pertanto questo disco è differente dai suoi due precedenti e pregevolissimi Feels Good To Me e One Of A Kind, parecchio complessi e di difficile ascolto (anch’essi da riscoprire), Gradually Going Tornado più semplice e accessibile. Anche perché degli otto brani presenti quattro sono cantati. Ma non sono i Talking Heads.
Il gruppo è costituito da Jeff Berlin al basso (e al canto), il mai troppo celebrato Dave Stewart alle tastiere e John Clark alla chitarra elettrica (al posto di Allan Holdsworth). Bill Bruford suona il pianoforte in un brano, una ballad.
Le composizioni sono perlopiù a firma di Bruford, ma meno del passato; più presente Stewart e un po’ Berlin.
La musica, come è loro norma, è un incrocio di generi e stili, crossover tra Jazz-Rock e Prog con un pizzico di funky-pop-rock (anticipando qualche coordinata dei Level 42, che debuttarono nel 1981). 

​Musica energica e complessa, ma pure alquanto melodica, suonata benissimo, imperniata sul poderoso e portentoso basso di Berlin e le sortite solistiche della chitarra “holdswortiana” di Clark. La batteria non è protagonista, ma fornisce timbri e impulsi così peculiari che comunque dona un apporto imprescindibile per il carattere dei brani. Sontuoso il lavoro delle tastiere, amalgamano e sostengono, contrappuntano e ruggiscono perfettamente (Stewart è il più progressive tra i quattro, quello con discendenze più classicheggianti). L’unico appunto è il cantato, senza infamia e senza lode, dunque modesto, pertanto non all’altezza del resto.

​I primi due pezzi (Bruford-Stewart) sono cantati, Age of Information ha una sinuosa linea melodica con parti di basso possenti e trascinanti; poi una sezione più sincopata (11/4). Un buon inizio.
​Segue Gothic 17, più scuro e articolato, con ospite al violoncello Georgie Born (già Art Bears, Henry Cow, National Health), è meno canzone della precedente; meno cantata, con più dinamiche e interpolamenti di strumenti. Berlin sempre sugli scudi. Si sta proseguendo in crescendo.
​Joe Frazier (Berlin) è strumentale ed è un gioiellino. È basato su una lunga e serrata linea melodica esposta da basso e tastiere, discende da Teen Town dei Weather Report (Pastorius). Meno misterioso e sospeso di Teen Town, più articolato, ci sono maggiori inserti e cambi particolarmente melodici e aggressivi al contempo, con pure un solo di Stewart.
​Q.E.D. (Bruford-Stewart) ancora “goticità”, ma del tutto strumentale e ancor più complesso. Lunga introduzione thrilling, poi si distende un po’ con tema guizzante, quasi allegro, e interventi solistici in super legato di Clark, segue Stewart. Nuova sezione con solo di Berlin, breve ma incisivo; senza respiro lo incalza Clark (un po’ il protagonista del brano). Ripresa del tema, piuttosto complementare al carattere iniziale. Notevole.   
​The Sliding Floor (Berlin, Bruford, Stewart) pezzo cantato, nulla di particolare se non nella metrica. Semplificando le reali suddivisioni: riff iniziale in 11/8, si prosegue nel lineare 4/4, giungendo (1’20”) a un’apertura di 19/8, segue un ponte (2’19”) in 11/8. Poi la struttura si ripete, ma con una inserzione (3’12”) a mo’ quasi di duetto tra chitarra e tastiere; più avanti interventi solistici di chitarra e tastiere a conclusione, sfumando. 
​La gradevole, melodica, ballad strumentale pianoforte e basso, Palewell Park (Bruford), ha protagonista assoluto Berlin: un maestro.
Plans for J.D (Bruford) è il brano più debole del disco;  cantato, saltellante, brioso, ma senza granché a tutti i livelli.
​Invece chiude il disco il pezzo più ambizioso e progressive, Land's End (Stewart), una suite che rimanda agli Hatfield and the North o National Health. Con aggiunti cori di Amanda Parsons e Barbara Gaskin (già presenti nei precedenti gruppi citati di Stewart, addirittura già negli ottimi Egg).
Inizia largo, maestoso, poi più serrato e grintoso, e “dispari” (11/8), segue breve solo di basso; ponte (3’01”) reiterato ancora asimmetrico (23/8). Tutto si acquieta. Rimane soltanto il piano.
Poco prima dei cinque minuti si riprende la struttura dal principio, col solo di Clark; poi Berlin al proscenio; si dà il cambio con Clark. Segue, dopo nuova sezione tesa e compatta con tema che si dipana in 20/8, un breve solo di Bruford; ci si avvia alla conclusione.
Land's End non è la cosa migliore del disco, ma è una interessante suite che si distacca un po’ dal consueto: più snella e melodica, potente, articolata ma non eccessivamente verbosa. Il brano più notevole di questa seconda parte del disco (inferiore alla prima).
​D’altronde, come già accennato, questi musicisti non sono come quelli progressive, più classicheggianti e “ingessati”, sono più “jazzy” pertanto “sciolti”, agili nei loro interventi oltre che nelle composizioni. Quindi la musica è in ottimo equilibrio tra parti scritte e interpretazioni tramite articolazioni meno rigide sia concettualmente sia nell’azione.
​
Gradually Going Tornado è tra le ultimissime opere nobili dell’era del Rock (e dintorni) più elevato in assoluto. Qualcuno come i King Crimson si rinnovò alla grande, anche gli Yes fecero cose ragguardevoli mutando (peraltro gruppi in cui Bruford aveva già militato), e pochissimo d’altro.
Dunque questo disco è un’ottima occasione per ascoltare musica di gran qualità ma non eccessivamente difficile, che poi è stata archiviata, seppellita dalla storia. Non ci sono eredi.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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