Carlo Pasceri
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Libro Eroi Elettrici

Il Blues delle origini: ridotto e semplificato per il successo di massa

4/11/2016

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Tra gli anni ’20 e ’30 del ‘900 ci fu la formalizzazione del Blues come diffusamente lo si conosce ovvero, compendiando, una sequenza ciclica di 3 accordi (maggiori I-IV-V) lunga 12 battute con motivi melodici e riff basati sulla scala pentatonica (con la nota aggiunta di passaggio corrispondente all’intervallo di quinta diminuita e l’oscillazione di intonazione tra terza minore e terza maggiore). 
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Fu un’osmosi tra i più arcaici e semplici brani con canti basati su un accordo (talvolta andando verso il relativo IV) e pochissime note con intonazioni variabili rispetto ai canoni occidentali, e quelli ottocenteschi di Ragtime basati su rapide sequenze scalari e accordali diatoniche; in quanto alla lunghezza dei cicli di battute, tutte e due le prassi musicali erano di misure variabili.
Pertanto il Blues fu la sintesi tra una sorta di canzone ballereccia di origine europea (di solito con base pianistica), e semplicissimi pezzi di ostinati modali di origine africana (di solito espressi con voce e chitarra), con la riproposizione in miniatura dello schema responsoriale chiamata e risposta mutuato dai canti sacri occidentali (poi anche spiritual).

Forse i primi due brani in assoluto più importanti per piano ragtime che introducono esplicitamente il Blues sono One o' Them Things del 1904 di James Chapman e Leroy Smith, e il più incisivo I Got the Blues del 1908 di Anthony Maggio. Famosissimi e influenti furono i brani Memphis Blues di W.C. Handy (1912) e St. Louis Blues del ‘14. Fondamentali. (Uno dei primissimi blues cantati registrati in assoluto fu per opera della cantante Lucille Hegamin - novembre 1920 - chiamato The Jazz Me Blues: anche il titolo testimonia la comune matrice dei due generi.)
Dunque agli albori del ‘900 ci furono le prime registrazioni di brani di Blues, intimamente legati alla genesi del Jazz; questi testimoniano la loro origine più complessa, in seguito si semplificheranno e diverranno appunto simili a quello che riconosciamo come costituenti del genere Blues.

E per tornare ai chitarristi, appena prima dei già citati (nel precedente articolo) C. Patton e R. Johnson, ci furono a cavallo tra i ‘20 e i ’30 altri tre personaggi capitali: Blind Lemon Jefferson, Big Bill Broonzy e Lonnie Johnson, in termini chitarristici, il più rilevante di tutti.
Questi pionieri hanno offerto le basi per i molti manierismi di sequenze di accordi, turnaround, riff e motivi (e solismi strumentali) che saranno ossificati di lì in poi da una pletora di bluesman, tramite riduzioni di alcuni passaggi musicali di quei precursori; finanche il basso boogie woogie e quindi l’intero impianto del rock and roll.  
Sappiamo pure che il R&B e il Soul sono costole del Blues degli esordi, naturalmente con alcuni elementi variati e aggiornati stilisticamente, non da ultimi le sonorità elettriche e la dimensione ritmica esplicitata principalmente dalla grandissima novità della batteria, che dalla metà anni ’50 in poi ebbe un impulso esponenziale.

Insomma, come quasi sempre accade (e non solo in musica), quel che diviene successo di massa è l’esito di riduttive semplificazioni di quel che in nuce era stato già espresso compiutamente, aiutando il pubblico in modo diretto e potente a ottenere la messa a fuoco necessaria per memorizzare i passaggi musicali, canticchiarli e quindi ricavarne un dolce tormentone. Di solito è questa la diffusa ricetta sostanziale per ottenere tra l’artista e il pubblico l’agognata comunicazione; chiamiamola così, dai… 
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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