E spesso è proprio così; anche più semplici di quanto si pensi.
Ma quei brani hanno sovente qualcosa che li distingue nella loro essenza.
Uno di questi è I Wouldn't Want To Be Like You del gruppo britannico The Alan Parsons Project (di fatto il duo Alan Parsons- Eric Woolfson tastierista), pubblicato nel 1977 e contenuto nel disco I Robot.
Si fa fatica a pensare qualcosa di più facile. Dunque, il pezzo è in sostanza monosezione.
Il ritmo è rudimentale e in 4/4 medio tempo suonato da Stuart Tosh (con andamento ballereccio dato dal charleston aperto in levare).
Altresì, I Wouldn't Want To Be Like You è strutturato soltanto con quattro accordi.
L’armonia è data dall’alternarsi di DOm7 e FAm7, per poi variare con altri due accordi radicati nella nota fondamentale Do (DOsus4/9 e DOm#5)*, pertanto un’insistenza notevole nell’area di DO.
Oltre a sottolineare l’accattivante linea del basso (suonato da David Paton) in stile riff fiati R&B e l’ottima interpretazione della semplice parte vocale di Lenny Zakatek, va dunque evidenziata la peculiarità che distingue I Wouldn't Want To Be Like You dalla pletora di canzoni simili: varianti di blues minori.
Qui il punto di svolta, perché, dopo quattro misure di DOm7 e tutto quei pulsare delle note Do, la melodia cantata inizia a 57’’ quando finalmente c’è un cambio, in FAm7.
Pertanto se s’intendono da qui le 12 misure della sezione A***, s’invertono le polarità armoniche, e non si ha il comunissimo sapore bluesy giacché il pendolo accordale parte dal FA e non dal DO, che ha imperato fin lì (sebbene manterrà il predominio perlomeno in quantità, in presenza). Però la posizione metrica del FA (inizio cantato) e il suo registro d’intonazione più basso lo elevano in qualità, in importanza****.
Questo genera un’ambiguità non comune, che altera la percezione musicale (in modo quasi subliminale) quel tanto che basta per “sorprendere” piacevolmente gli ascoltatori, intrigandoli senza scompigli particolari, rinnovando le sensazioni pur usando l’identico lessico e linguaggio di altri innumerevoli brani.
Insomma, il DO predominante sin dal principio, usato nella tensiva introduzione che progressivamente lancia la melodia sulla sezione cantata che però principia dal FA.
Agevole riscontro di ciò si ha quando inizia così ben proiettato il breve ma ottimo intervento di chitarra di Ian Bairnson (collaborò pure a tutti i seguenti dischi del TAPP), perfetto ponte stilistico tra le parti di basso (R&B) e batteria (Dance) fin lì eseguite, molto melo-ritmico, da riff fiatistici funky: si svolge esattamente sulle 12 battute del giro (chorus) sottolineato dal basso e batteria che eseguono varianti delle parti precedenti.
La coda s’innesta sulla ripresa del cantato e ricalca la seconda parte dell’intro.
I Wouldn't Want To Be Like You è un ulteriore esempio di come in musica non regni affatto la proprietà commutativa - cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia - e sia una disciplina altamente efficiente; anche usando appena qualche variante formale si ha un grande potenziale di efficacia. Infatti, pur impiegando le stesse identiche note financo disposte tra loro in modo alquanto simile a quelle di moltissimi altri brani, se si presentano nel loro schematico insieme in modo appena differente si ha una significativa variazione di effetto.
* Comunemente semplificati e intesi come rivolti: SIb/Do – LAb/Do
** L’introduzione, missata col pezzo precedente - uno strumentale con cui principia l’album - inizia con due accordi diversi, tensivi, che generano un’atmosfera misterica, poiché contengono la più forte dissonanza, ossia la semitonale: tra Re e Mib nel primo e Do e Reb nel secondo.
*** La sezione è quindi costituita da FAm7 - FAm7 - DOm7 - DOm7 - FAm7 - FAm7 - DOm7 - DOsus4/9 - DOm#5 - DOsus4/9 - DOm7 - DOm7.
**** Pure se si considerasse l’inizio della parte A dal DOm7 a 53’’ si avrebbe comunque un’alterazione a livello metrico-formale, sarebbe anch’essa eccentrica rispetto alla norma.