Composto dal pianista Franco D’Andrea, quasi quattro minuti di grande atmosfera, senza assoli, basati su un nucleo di solo quattro note; ma è un nucleo eccezionale, trattato in modo straordinario...
Tre diverse note discendenti (Si, La, Mi) che triangolano tra loro per 3 volte, la terza volta se ne aggiunge un’altra (Re) innescando una mini variante. Costituiscono la cantabile cellula di undici in cui la prima coincide con l’ultima; pertanto si genera un costante ciclo, ipnotico. Il tempo sembra scorrere molto lento.
A 1’28” entra in scena quasi prepotente la chitarra elettrica distorta che doppia il tema; si aggiunge il basso che puntella il tutto, qualche scroscio di bronzei cembali, il piano elettrico si estende in armonie arpeggiate; è cambiato registro espressivo e frequenziale. Il tempo ora si percepisce appena, comunque è elastico, parecchio oscillante (la cellula si può intenderla di 3 misure di 4/4 vedi figura): nelle molteplici reiterazioni* del motivo melodico (in cui la chitarra è sempre più debordante) c’è una traiettoria dinamica in crescendo.
Nadir lentamente si affievolisce su un’ultima nota, come una fiammella che poi si estingue.
Ho asserito, poche righe sopra, del “nucleo eccezionale, trattato in modo straordinario”: vediamo.
L’idea estetico-compositiva di Nadir è fondata sul più moderno modello di Jazz, ossia quello espresso nel decennio precedente dai gruppi di John Coltrane e Miles Davis (periodo “A Love Supreme” e segnatamente “Nefertiti”), e su una specie di minimalismo dodecafonico-seriale. Piccole cellule, sovente di matrice non diatonica (pentatonica o quartale che sia), che proliferano incessantemente.
In Nadir il nucleo delle 4 note è per intervalli di quarte, seppur opportunatamente occultato (cosicché sia più cantabile) da una disposizione scalare, facendolo somigliare alla scala più abusata da tutti i bluesman e rocker del mondo, la Pentatonica minore.
Comunque sia gli intervalli esposti dal motivo melodico sono peculiari: scende di seconda e quarta poi sale di quinta; la variante conclusiva scende di sesta, sale di quinta, scende di quarta e sale di quinta**. Non è né una tipica linea melodica né un arpeggio.
Altresì questo nucleo è traslato e ruotato intorno a un asse intervallatico (terza maggiore) dello spazio cromatico, producendo così una sorta di triangolo musicale dodecafonico (cioè sono usate tutte e 12 le note della scala Cromatica). Quando entra la chitarra elettrica comincia la traiettoria (discendente), che prosegue ciclicamente***, terminando (2’59”) come era cominciata, solo con il sax che replica l’originario nucleo (il solo che è esposto due volte di seguito).
Va sottolineato che non sono “semplicemente” suonate, in fin della fiera, tutte le note della scala Cromatica, ma quando il tema modula, traslando perfettamente la sua configurazione intervallare di terza maggiore in terza maggiore, sono suonate tutte e 12 in modo seriale, schönbergiano, ossia senza che nemmeno una nota sia ripetuta: ciò sarebbe stato impossibile se il tema fosse stato realizzato tramite convenzionali arpeggi e linee scalari.
E questo naturalmente è un importantissimo elemento di simmetrica circolarità, oltre che di originalità, che dona un’ineffabile doppio incanto: da un lato di relativa auto replica formale, dall’altro di assoluta diversità fisica.
Nadir somiglia a quei pochi grammi di rarissima pietra perfettamente sfaccettata per catturare e far scintillar luce anche nella penombra.
* Complessivamente la cellula tematica è esposta 10 volte: 2 all'inizio solo sax, 6 sax+chitarra, 2 alla fine solo sax.
** Questa particolare frazione è affine, preconizzandola, a una delle parti musicali più famose al mondo: l’arpeggio di “Shine On You Crazy Diamond” dei Pink Floyd.
*** E’ interessante notare il contrasto tra la discesa frequenziale del tema e l’intensificarsi della dinamica: quasi sempre è il contrario.