I Colosseum si formarono nel 1968, e pubblicarono il loro notevole primo disco fine inverno del ’69 (Those Who Are About To Die Salute You), dopo pochi mesi il secondo, Valentyne Suite: capolavoro. Seguirono nel 1970 gli ottimi The Grass Is Greener e Daughter of Time, poi il commiato con Colosseum Live (’71); dopo, nel 1973, ci furono i Tempest… Ma facciamo il punto.
Dunque, le enormi conseguenze musicali di quell’esuberanza con Londra magnete assoluto, di là della musica in generale e quindi compositori, cantanti e chitarristi elettrici che tutti conoscono, fu una generazione di ottimi strumentisti con nuove idee che mescolò benissimo le fondamenta jazzistiche con le strutture rock.
Come strumentisti si distinsero ulteriormente i batteristi, citando i più importanti: Ginger Baker, Bill Bruford e Mike Giles. (Anche Mitch Mitchell e Ian Paice, tanto per menzionare due tra i più famosi e legati al Rock di massa, erano di quella genia.)
Hiseman si distinse ulteriormente, giacché è l’unico tra questi che ebbe una leadership, peraltro con un rilevante progetto musicale portato avanti per circa un decennio (dopo i Tempest formò anche i Colosseum II).
Questa messe di batteristi fu fondamentale per lo sviluppo musicale degli anni Settanta, rappresentava un fare musica più aperto e creativo e non di natura strettamente professionale, nel senso che se è vero come è vero che anche negli USA vi erano batteristi (e gruppi) che stavano sintetizzando un linguaggio crossover (per esempio John Guerin e Ralph Humphrey), erano sentiti più distanti: turnisti che facevano ciò che veniva loro richiesto, con poca personalità.
Perciò Hiseman fu all’epoca eletto come specie di batterista ideale, quello con approccio totale, un influente precursore, al netto delle inclinazioni stilistiche e del successo mietuto dai vari gruppi che naturalmente suggestionarono molto gli strumentisti epigoni. Dopo, dai più, fu un po’ dimenticato…
Prediligeva ritmare con il piatto ride e i tamburi, usava meno il charleston, esemplare la scioltezza e sensibilità unita all’energia propulsiva e precisione con la quale affrontava sia parti complesse come in Never Tell Your Mother She’s Out Of Tune (nel disco di Jack Bruce "Song For A Taylor"), Lost Angeles o The Valentyne Suite (solo nei primi due minuti quanti ritmi e obbligati…) e The Machine Demands a Sacrifice (col 7/8 africaneggiante da 2’06” e assolo finale), sia le parti più semplici, però solitamente molto variegate come nei canonici shuffle di Walkin In The park e Butty’s Blues, degni di un Art Blakey, o quello col controtempo di Boston Ball Game, 1967 (J. Bruce); o al passaggio in raddoppio terremotante proto-metallaro di Downhill and Shadows (a 4’05”); e infine anche a esplosivi, lunghissimi e fantasiosi assoli (The Time Machine).
Piglio da leader e articolazione tecnica ineccepibile consentivano a Jon di essere non solo un semplice, seppur abilissimo, “accompagnatore” come la stragrande maggioranza dei suoi bravissimi colleghi, ma uno che tirava e spingeva il gruppo (si ascolti per esempio nelle varie segmentazioni di Theme One o, al contrario, in grado di farlo anche solo mediante il rullante come in Elegy).
Insomma, molti batteristi rock europei più di guardare gli americani, che erano tendenti alla specializzazione e quindi jazzy o funky/R&B, più inquadrati, guardavano Jon Hiseman, così flessibile e con netta pronuncia tecnica, con quella lunga catena di moduli e fraseggi che esprimeva stentoreamente e in maniera rapida e precisa, swinging, oscillando tra i generi e stili… Ha gettato un potente fascio di luce colorato e illuminante: molti sono divenuti batteristi migliori grazie a lui.
Jon Hiseman (21 giugno 1944 - 12 giugno 2018)
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