Sì, scrivo ancora di un chitarrista; perché sono un chitarrista.
Sì, perché non c’è un’altra categoria di musicisti che annovera così tanta propensione alla fusione di generi e stili.
Così tanti compositori e/o titolari di dischi crossover che hanno innalzato il tasso qualitativo musicale, facendo ancor più grande la musica. Sono un chitarrista pure per questo.
Steve Morse è per molti versi un musicista straordinario, tanto colto quanto prolifico di esperienze, ed è in assoluto tra i pochissimi, dei musicisti storici, che ha amalgamato a livello compositivo e solistico il Jazz col Rock dal lato rock.
Inizialmente per pochi, poi a metà degli Ottanta più noto a fronte del suo trio Steve Morse Band, col suo notevole disco d’esordio The Introduction (’84). Tuttavia, sarà dopo la sua adesione ai Kansas (1986) per un paio di anni e dischi, e soprattutto inserendosi a pieno titolo nel ’96 come sostituto di Ritchie Blackmore nei Deep Purple, che la sua fama andò ben oltre il ristretto giro più specialistico, assurgendo a quella di grandioso chitarrista, qual è.
E questo, per quanto possa sembrare strano, non accade così sovente come comunemente si è portati a pensare; per esempio accade nel Jazz bebop, ma non nel Jazz modale o in altri stili del Jazz stesso. Come non accade nell’Hard-rock e altri generi e stili di quest’altro versante.
Peraltro la musica Classica si nota non solo qua e là nelle sue composizioni, ma pure dall’appropriato uso della chitarra classica in alcuni pezzi.
Il Nostro talvolta usa sinuose assolvenze di volume, e si concede pacate digressioni, “innocenti”, ma ad ascoltare attentamente non di rado anche in quelle occasioni emerge il suo essere impetuoso.
Morse è un killer; veloce e potente, d’attacco; ed è veramente aggressivo, la sua plettrata alternata, la sua mano destra, assale le corde, non le sfiora, come fanno tantissimi chitarristi rock, che poi tentano di compensare con vari effetti: più virtualità che realtà di energia e potenza.
I suoi soli, anche perché assai influenzato dal country-bluegrass, sono parecchio bop’n’roll: serrati e rapidi, swingin’. Fa parte, dal versante rock (pertanto meno “dissonante” ma più bluesy e “cattivo”), di quei pochi che hanno mescolato gli idiomi; ciò che dagli ’80/’90 in poi sarà più diffuso.
Linee con pochi arpeggi ma molti cromatismi con un linearissimo swing-shuffle (a volte usa direttamente la scala Cromatica e allora è straight), avviati e/o conclusi da parecchi armonici artificiali (sovracuti delle note fondamentali) con profondi vibrati, o stoppati (muting) sulle corde più grosse. Dunque poca varietà ritmica e vero e proprio fraseggio, ma con formidabili chop (frasi particolarmente incisive) perfettamente calibrati ed eseguiti, inesorabili.
Questo soprattutto nei primi dieci anni di attività, i più creativi, dopo ha un po’ aumentato da un lato la quota shredder-rock dall’altro quella classic-rock, anche perché si è inserito in gruppi con una grande storia alle spalle, specialmente con l’esperienza dei Deep Purple. Quindi un altro suo merito: essersi perfettamente immesso nella scia della musica altrui senza abdicare al proprio stile.
La qualità della sua musica (e i suoi soli) mai è scaduta, l’elevato rango che sin dall’esordio si è manifestato lo ha mantenuto.
Ma va pure detto di una caratteristica non positiva.
Si è ripetuto compositivamente e solisticamente. La forma e i contenuti dei suoi brani e assoli è spesso sin troppo simile; e non dopo decenni di attività, ma sin dai primi anni.
Concludendo, i primi due dischi dei Dixie Dregs, Free Fall e What If**, e il suo primo come Steve Morse Band, The Introduction, sono i più significativi, giacché quelli con più alto tasso di originalità (anche verso se stesso). Comunque, come sopra evidenziato, con lui dove si pesca non si pesca mai male***. Infatti, segnalo in particolare un eccellente brano preso dal terzo dei Dixie Dregs, Night of the Living Dregs (’79), The Riff Raff, per la sua discendenza dalla Classica meno vieta e frusta.
* In ordine sparso, per le loro future pubblicazioni, i Dixie Dregs hanno nuovamente registrato otto dei dieci brani di questo disco; The Great Spectacular fu pubblicato nel 1997.
** In questo disco gli Emerson, Lake & Palmer fanno più di un capolino, ma coniugati con creatività.
*** C’è un particolare disco del 2000 a nome Steve Morse, Major Impacts, in cui i brani sono nello stile dei diversi artisti e gruppi che più, come afferma, lo hanno influenzato; tra i vari si va dai Byrds a McLaughlin passando per i Kansas. Nel 2004 ci sarà un seguito: Major Impacts 2.
Si segnala pure Stand Up del 1985, immediato seguito di The Introduction, per la totale difformità con esso: album cantato di canzoni rock.