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Libro Eroi Elettrici

L'esordio di Jaco Pastorius: un album epocale

11/9/2022

3 Commenti

 
Un disco epocale, di uno straordinario bassista che contribuì eccezionalmente alla reputazione e allo sviluppo, già crescente, del basso elettrico; Pastorius ci riuscì per vari motivi, non tutti inerenti alla pura musica.
Jaco Pastorius fu pubblicato nel 1976; dunque lo stesso anno del celebre “Black Market” dei Weather Report, cui sostituì un altro fenomenale bassista, Alphonso Johnson: Pastorius suonò in due soli brani, ma si mise così tanto in luce che appunto il suo disco solista fu subito “recuperato” e da lì in poi la sua fama fu in esponenziale aumento.
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Nove brani, tutti differenti tra loro, anche come generi.
Voluto e prodotto da Bobby Colomby, batterista e fondatore dei Blood, Sweat & Tears, con la partecipazione straordinaria di Herbie Hancock (che curò perfino le note di copertina).
L’apertura del disco, solo due miniti e mezzo, fu quasi uno shock: un famoso standard jazz di Charlie Parker e Miles Davis, Donna Lee, suonato soltanto col basso fretless (senza tasti) e congas (Don Alias). Sgomentò l’auducia e l’abilità con le quali ha affrontato il brano, esponendo il non semplice tema e svolto un rapido e brillante solo, presentando, seppur quasi di sfuggita, alcune tecniche che diverranno suoi marchi: profondi glissati di note, mini accordi e armonici.
Segue un pezzo di natura funky-r&b, Come On, Come Over (Herzog - Pastorius), cantato dal duo Sam e Dave. Sezione fiati lussuosamente impreziosita dalla presenza dei fratelli Brecker e David Sanborn, Hancock al piano elettrico e clavinet, Narada Michael Walden alla batteria: il pezzo è semplice e gradevole, nulla di più, ma è suonato magistralmente, e con la parte B (a 57”) caratterizzata da un saltellante riff di basso di sole due misure che sarà da Jaco (con piccole variazioni) molto sfruttato (per esempio in “From Ocean To The Clouds” dalla "Suite Golden Down" di Al Di Meola), divenendo così un altro elemento del suo inconfondibile stile. 
Siamo a Continuum, semplice e deliziosa ballad dominata dal basso, con due piani elettrici e batteria, più di colore che altro; la pulsazione è affidata a leggeri percotimenti (a ottavi pertanto a tempo doppio) di piatti e charleston, per poi interpolare su tom e rimshot. Dopo l'esposizione del tema, il solo di Jaco, notevole e particolare giacché perfettamente in bilico tra interventi rapsodici e riprese tematiche. Ancora la melodia e la chiusura un po’ sospesa.
Segue un medley tra Kuru di Pastorius e un arrangiamento di un noto pezzo di Hancock pubblicato nel ’68, Speak Like A Child.  Connubio tra un rapido e irruente pezzo modale e uno moderato tonale. Kuru è basato su un brevissimo riff di basso su cui improvvisa eccellentemente al piano Hancock, segue il solo delle congas di Alias interpolato da una velocissima frase ascendente pentatonica di una sezione archi che genera uno spostamento di accenti (ogni 5 in luogo del 4/4 base: rammenta quelle della Mahavishnu Orchestra di qualche tempo prima). A 2’25” transizione per l’innesto di “Speak”, segue quindi un ritmo bossanova a più moderata velocità, ancora solo di Hancock ma curiosamente c’è, a 3’45”, una breve ripresa di Kuru, anche a 5’26” e 6’18”, portato questa volta per circa un minuto e mezzo fino al termine, con la frase degli archi che si sovrappongono e concludono da soli, come era principiato.
Originariamente la prima facciata del disco si chiudeva con Portrait of Tracy, poco più di due minuti di basso in solitudine, che fanno davvero la differenza. Ballad dedicata alla moglie fondata sull’uso degli armonici, come contrappunto melodico-armonico all’accompagnamento della convenzionale parte nel registro inferiore: sia formalmente sia esecutivamente mai si era ascoltata una cosa così. Fu una meravigliosa e notevolissima innovazione di Jaco (in questi esatti termini, ma non in assoluto: gli armonici erano già usati); per quanto possa sembrare strano, l’unica*.
La seconda parte dell’opera inizia con Opus Pocus, semplice brano modale fondato su tre riff di basso (tra cui una variante di Come On, Come Over) e una frase obbligata; caratterizzato dall’esteso uso delle steel drums (Otello Molineaux a sx e Leroy Williams a dx) e dal lungo solo al soprano di Wayne Shorter.
Okonkolé e Trompa, eccezionale brano a firma di Alias e Pastorius; fusione tra tribalismo, minimalismo ed evocazioni classicheggianti. Percussioni (Alias), basso (solo armonici) e corno francese (Peter Gordon). Su un drone in 5/8 di Pastorius (sovraincisone con accenti sul primo, terzo e quinto ottavo), si sovrappongono due parti di percussioni in 6/8 che generano un turbinio ancor più ipnotico. Poco dopo le poche, ma sceltissime, note del corno francese: si basano su una scala di MI dorico; la selezione di note che creano sospensione si impernia su quelle meno “forti” della fondamentale MI (dunque evitando di soffermarsi su Mi e Si). Tuttavia col trascorrere del tempo progressivamente la parte varia, finanche affastella qualche nota esterna alla modalità, seppur transitoriamente: mediante queste alterazioni si provoca una piccola torsione melodica che rende ancor più interessante il tema di fondo (che comunque è sempre presente).
Si rientra nella normalità, o quasi, con (Used To Be A) Cha Cha. Quasi nove minuti di un brano non semplice, al netto del rapido ritmo di samba (anche questa parte di Jaco diverrà un suo marchio stilistico perché opportunatamente variata la riutilizzerà, sebbene meno di quella di Come On, Come Over), per l’uso di variegate armonie e una articolata melodia. Nuovo protagonista il bravissimo flautista (qui al piccolo) Hubert Laws. Apre le danze dei soli Pastorius: imponente. 
Segue l’ottimo Laws; a 4’42” Hancock sale in cattedra: per quasi tre minuti è una tempesta di idee e groove, di squarci ritmici, dinamici armonici e melodici, per poi a 7’15” parafrasare meravigliosamente la prima parte della melodia del brano. 
Il disco si chiude col breve, romantico ma complesso Forgotton Love. Ci sono due contrabbassi ed è assente il leader; dominato dagli archi (diretti come in Kuru da Michael Gibbs, qui pure arrangiati) a sostegno e contraltare della melodia esposta dal piano. Lunga, sinuosa, si dipana, iniziando in maniera “tranquilla”, sempre più in un crescendo di inquietudini; alquanto pretenzioso. 
Come premesso all’inizio, questo è un disco storico, certamente per il fatto che ci sono delle eccezionali parti di basso, nondimeno sin da questo esordio Pastorius aveva dimostrato di essere un grande musicista a tutto tondo; rammarica che per vari motivi abbia pubblicato solo un altro disco in studio, “Word Of Mouth” (1981), peraltro ottimo.
Insomma, sia per il basso sia per la qualità e varietà delle composizioni ed esecuzioni, Jaco Pastorius non può che essere stimata come un’opera di elevato rango.
 
​
* Comunemente, ma erroneamente, si attribuiscono a Pastorius innovazioni come l’uso del basso fretless, o che abbia messo, in termini di parti composte ed esecutive, in primo piano il basso elettrico, o l'uso di mini accordi e degli armonici: in assoluto non è così, però lui ha senz’altro grandemente esteso e approfondito queste cose.
3 Commenti
Emiliano
15/9/2022 19:55:56

Ho riascoltato l'album con questa interessante analisi sottomano e ho scoperto e sentito cose che non avevo notato.
Grazie!

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Roberto
2/12/2024 07:54:15

Sicuramente il fretless c'era già anche chi suonava con gli accordi, ma non ci sono riusciti come lui ,

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carlo pasceri
2/12/2024 08:50:22

Caro Roberto,
“non ci sono riusciti come lui” si può rivoltare e diviene che lui non è riuscito come tanti altri a suonare come lo facevano…
Basti pensare a Percy Jones e Alphonso Johnson, perché ciò è sempre vero per tutti i grandi strumentisti, ognuno ha il proprio stile: poi a te potrà piacere più uno di un altro, ma questo è soggettivo gusto.
La cosa più importante e oggettiva è stabilire le innovazioni, questo fa la differenza inconfutabile… e lui parecchio meno di altri.

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    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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