L’avvento del web, di Internet e Youtube coi video che possono (chiunque sia l’autore) guardare milioni di persone, ha fortemente contribuito a esacerbare ciò.
L’esagerato accento sull’individualismo strumentistico basato su esecuzioni particolarmente rapide ha contribuito a una pressoché totale aridità di proposte compositive di significativa qualità, ossia creatività.
Naturalmente l’elemento visuale aumenta l’aspetto di mero intrattenimento del pubblico, facendo trascurare il resto che davvero conta in musica: vedere il “gesto” accresce notevolmente l’effetto dell’esecuzione in sé anche in termini puramente e brutalmente velocistici; e, soprattutto, distrae dal contenuto.
Tralasciando la Classica, e considerando chi si proponeva di fare assoli, è quindi col Jazz che si hanno i primi “virtuosi” in tal senso, il pianista Art Tatum negli '30/'40 fece epoca, ma, come vedremo, ciò non implicava aridità musicale.
Anzi, parecchi fuoriclasse hanno usato la velocità esecutiva; ma non solo.
È soprattutto coll’avvento dello stile be-bop degli anni '40/'50 che ciò emerge; i fondamentali Charlie Parker e Dizzy Gillespie; e in seguito un nome su tutti: John Coltrane.
Tuttavia sono i chitarristi elettrici, quasi tutti bianchi, che hanno parossisticamente manifestato quest’attitudine.
Al netto del jazzista Pat Martino (e George Benson), John McLaughlin, Allan Holdworth e Al Di Meola sono i tre titani che, iniziando negli anni Settanta (nell’alveo del Jazz-Rock/Fusion), hanno potentemente sia innovato sia alzato vertiginosamente il tasso di velocità esecutiva, fornendo così, ai loro discendenti velocisti dei decenni successivi denominati shredder, preziosissimi quarti di nobiltà; i quali però nella stragrande maggioranza dei casi hanno malamente sperperato l’eredità.
D’altronde questi shredder degli anni ’90 (fino a oggi) hanno il loro ascendente diretto più in un chitarrista svedese di Hard-rock impostosi a metà anni ‘80: Yngwie Malmsteen*.
Caterve di emuli ed epigoni, alcuni dei quali, i più “illuminati”, hanno a loro volta mischiato la lezione malmsteeniana con quella jazz e dei tre prima citati, in special modo Holdsworth.
Il più notevole di tutti a tutt’oggi è Greg Howe (emerso fine anni ’80), peraltro di colore. In sostanza tutti i contemporanei sono suoi epigoni, cui non hanno aggiunto, per ora, nulla di rilevante.
Ciò che immediatamente differenzia gli shredder dai putativi padri nobili McLaughlin e Di Meola, facendo la tara alla creatività, pure compositiva, incomparabile, e valutando semplicemente gli assoli nella loro forma, è nel preponderante ricorso alla velocità, peraltro quasi mai modulata, ma estrema**.
Quindi l’enorme quantità, però anche la qualità esecutiva di quest’andare al massimo - rammentando il nostro Vasco - è differente degli shredder.
Il loro andare su e giù a velocità supersonica (è proprio il caso di dirlo: si percepisce solo un’ondata di note omogenea e non una a una) è priva di rilevanti dinamiche e articolazioni che danno spessore, pure timbrico. Per andar più rapidi possibile quasi sfiorano le corde, non imprimendo così grande potenza sonica e quindi ottenerne grande densità (cercando di ovviare a ciò equalizzando il suono).
E allorquando c’è qualcosa in più di quegli sterili andirivieni di scale e arpeggi, quindi note fraseggiate melodicamente, sono direttamente mutuate da pattern jazz.
Però questa esacerbata uniformità esecutiva è propria dell’altro gigante, Holdsworth, che fa il paio con suoni in nuce assai magri (favorenti la velocità) che hanno gli shredder; non a caso è colui cui loro fanno più riferimento, pure perché in termini di prevalenza di velocissime linee il compianto inglese è più generoso di McLaughlin e Di Meola.
Holdsworth si distingue pure in termini formali, perché meno prevedibile del sistematico sali-scendi di tutti gli altri, che tendono a esaurire le possibilità dell’estensione nelle varie ottave delle scale e/o degli arpeggi nel modo più comodo sulla tastiera per conseguire di più l’effetto della fluida rapidità senza esitazioni.
Dunque, la distanza tra McLaughlin, Di Meola, Holdsworth e gli shredder (più bravi), è abissale.
D’altronde non va dimenticato che la velocità è una tecnica e non la tecnica - e nemmeno la più importante - sicuramente è la più volgare, l’unica che chiunque può notare; e ciò ha condotto al diffuso degrado della musica a intrattenimento visual-circense.
Insomma, sopravvalutare la velocità esecutiva non fa un buon servizio alla musica, d’altronde basterebbe pensare logicamente: più note ci sono meno hanno peso qualitativo e timbrico. Sebbene non sia necessariamente vero il contrario.
* Anche Eddie Van Halen per l’uso della tecnica tapping.
** Sempre massima nell’approccio, tantomeno variazioni di velocità al suo interno.
*** Va da sé che quando usa la leva non va veloce e consegue un’articolazione diversa da tutti gli altri, pure per il suo innovativo impiego melismatico di far “cantare” le note.
**** Nel caso di brani modali, pertanto statici armonicamente, Holdsworth suona in alcuni punti come se ci fossero cambi accordali (nel Jazz è comune farlo): Devil Take the Hindmost è tra gli esempi più notevoli.