Davis si differenziò ulteriormente da tutti gli altri perché fece una scelta radicale già sul finire degli anni Sessanta: conclusasi dopo alcuni anni e alcuni stupendi dischi la meravigliosa esperienza del famoso quintetto (Shorter, Hancok, Williams e Carter), si immerse totalmente nella musica modale, e non ne uscì più.
All’ingrosso: la musica modale è basata solo su un accordo o un riff, o quasi.
Se è fondata su più di 2 o 3 accordi che si succedono alquanto rapidamente e sono connessi tra loro da una scala è arduo si tratti di musica modale.
Quindi per esempio il Funk è modale ma non il Rock, specialmente quello più contiguo al Prog, all’Hard e al Pop. Va da sé che ci sono eccezioni e miscelazioni in tutti gli alvei.
Già sul finire dei Cinquanta col celebre brano “Milestones” (’58) e appresso con quel manifesto del “modalesimo” (’59) chiamato Kind of Blue (a rigore andrebbero considerati semimodali i due pezzi blues inclusi), Davis aveva manifestato uno spiccato interesse a eliminare o comunque limitare il vetusto concetto armonico tonale.
Sia dal vivo sia in studio affiancò pezzi così ad altri più convenzionalmente tonali, o comunque (specie col Quintetto) pregni di un “tonalesimo” sovente piuttosto alterato e visionario; o intermedi tra tonalità e modalità.
Via via che gli anni ’60 procedevano si è interessato sempre più agli strumenti elettrici, all’impatto timbrico rock e ai moduli funk: i dischi Miles in The Sky e Filles de Kilimanjaro (’68) contengono più di un seme (Stuff, Frelon Brun, Tout De Suite, Filles De Kilimanjaro) di ciò che accadrà appena appresso nel ’69 con In a Silent Way e Bitches Brew (pubblicato 1970).
Da qui in poi Miles non tornerà più indietro né per l’elettrificazione né per l’adesione al modalesimo, anzi, ne accrescerà tutti i costituenti.
Quindi Davis, nel proseguo fino al suo ritiro nel 1975, ha prodotto una serie di dischi, sia in studio sia live, tutti improntati sui medesimi principi musicali: sorta di tribalismo sempre più feroce e ossessivo, estremo, timbri saturi, aggressivi, con la ritmica strutturata su brevissimi moduli ricorsivi e i solisti del tutto liberi di sovrapporsi a essa.
D’altronde giova ricordare che la musica modale è la più arcaica e diffusa al mondo, perciò non sorprende questa deriva da rito sciamanico. Un’esperienza emotiva che può esser affine a una specie di trance poetico-mistica, laica o religiosa che sia, affatto individuale o condivisa.
Quando nel 1981 rientrò nel mondo musicale col disco The Man With The Horn ebbe l’accortezza, visto che nel frattempo la globale estetica musicale (e non) era del tutto cambiata, di smussare gli angoli e rendere patinata anche la forma della sua musica (timbri ed espressioni), ma nella sostanza rimase la stessa.
Qua e là inserì pezzi che erano delle canzoncine, probabilmente per bilanciare e rendere più “commerciali” i dischi: qui ci furono “Shout” e “The Man With The Horn”: mediocri, a esser gentili.
Nell’ottimo doppio live (tutto modale) che seguì (We Want Miles - 1982) è paradigmatico il trattamento che riservò a una canzone di Gershwin ("My Man's Gone Now") che aveva già affrontato in Porgy and Bess (1958): quasi irriconoscibile.
Più avanti giunse a inserire canzoni di successo come “Human Nature” e “Time After Time” (in You're Under Arrest) e “Perfect Way” (Tutu), ma l’impianto della sua musica era più che prevalentemente modale, e lo mantenne, con varie declinazioni stilistiche, fino alla fine: il commiato danzereccio del ’92 Doo-Bop ne fu l’ulteriore conferma.
Moltissimi tra i fuoriclasse hanno avuto fasi modali alquanto accentuate, basti pensare a John McLaughlin, specialmente con la sua Mahavishnu e Shakti, un superbo campione; come Zawinul (post Weather Report), e pure Herbie Hancock, Zappa, Santana, Weather Report stessi ecc. hanno creato sublimi musiche; tuttavia, nessuno è stato inflessibile come Davis, assolutamente fedele a questa estetica musicale dall’inizio (‘69) fino al termine della sua avventura.
Dunque, ascoltare il Miles Davis di questo lungo periodo è effettuare un viaggio, anzi, un’esplorazione tra le più profonde e ampie possibili offerte dalla musica modale, che è bifronte per eccellenza: da una parte la più concentrica, dall’altra la più eccentrica, da un lato la più ossessiva, dall’altro la più liberatoria di tutte.
We Want Miles Mode.
Le analisi musicali di due capolavori di Miles Davis sono incluse nel libro Dischi da leggere - Collezione 1.