Carlo Pasceri
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Approssimazioni e semplificazioni: rivolti di accordi e ritmo

10/6/2024

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In musica ci sono semplificazioni e approssimazioni atte ad ottenere col minimo sforzo dei buoni risultati in un dato contesto, come già affrontato per la questione dell’equivalenza d’ottava, che poi però divengono norme indiscutibili; ciò limita l’evoluzione musicale.
Pertanto un altro fondamentale fattore assai utile per ampliarne la realizzazione è quello di superare il concetto, ampiamente propalato nei manuali musicali e dalla secolare prassi, di rivolti degli accordi, e stimare ciò che sono le armonie accordali nella realtà oggettiva, fisica.
​È invalso che allorquando in presenza di un accordo costituito, per esempio, dalle note Mi-Sol-Do invece di essere considerato come MIm#5 o MImb6 (senza quinta), si semplifica e approssima come (primo) rivolto di DO; giacché la triade DO è costituita dalle note Do-Mi-Sol.
Pertanto, l’operazione di estrema approssimazione è quella di considerare Mi-Sol-Do come semplice spostamento nel registro alto della fondamentale della triade di DO e quindi banalmente assumerla come un DO maggiore con al basso la nota Mi, la sintesi notazionale è questa: DO/Mi.
Stessa operazione se l’accordo di partenza è Sol-Do-Mi, in questo caso invece di considerarlo come SOLsus4/6 è ancora inteso come (secondo) rivolto di DO: DO/Sol*.
​
Dunque, in queste semplificazioni armoniche si tiene conto esclusivamente delle singole note costituenti e arbitrariamente si dà una gerarchia a esse, quindi si definisce soggettivamente l’agglomerato sempre come X perché è quello più comune che contiene quelle note, ancorché non ordinate, invece di valutare l’effettiva strutturazione dell’agglomerato stesso con la naturale gerarchia fondativa per giungere all’oggettivo Y. 
Un po’ come considerare ancora un essere umano un organismo sì provvisto di testa, busto e gambe, ma con le posizioni invertite: busto, gambe e testa o gambe, testa e busto.
Tuttavia, lo si fa perché è invalso far prevalere la funzionalizzazione di quegli elementi musicali per conseguire in modo efficace ed efficiente esiti nella configurazione musicale che in Occidente prevale da circa mezzo millennio, quella diatonico-tonale, precludendo così non solo un poderoso sviluppo ulteriore di essa, ma soprattutto l’esplorazione di altre ben più estese.

Il concetto di rivolto è errato primariamente per tre oggettive ragioni, scientifiche.
La prima è che la nota più importante di un accordo è sempre la più bassa d’intonazione, la più grave, poiché proprio mediante i suoi armonici dà il fondamento armonico al resto, che si proietta e relativizza in base a questo. Dunque la radice dell'accordo è data dalla sua nota più bassa, di qui la sua denominazione per far correttamente comprendere la sua effettiva armonia.
La seconda è che gli accordi hanno strutturazioni diverse: ad esempio, l’accordo con note Do-Mi-Sol è strutturato dagli intervalli 3-3m, mentre quello con note Mi-Sol-Do da 3m-4 e quello Sol-Do-Mi è costituito da 4-3.
La terza è che, sempre prendendo lo stesso elementare esempio, quei tre accordi differiscono non solo per la strutturazione spaziale interna sopraesposta, ma pure per l’esito spaziale esterno del campo musicale; Do-Mi-Sol si estende di una quinta, Mi-Sol-Do  di una quinta diesis, Sol-Do-Mi di una sesta.
Insomma, sono enti armonici significativamente differenti.

Una banale conseguenza, quanto aborrita dagli osservanti dell’ortodossia diatonico-tonale, è che dell’accordo DO assai più parente di quei cosiddetti rivolti è il DOm, essendo strutturalmente affatto simile (il maggiore 3-3m, il minore 3m-3), e si estende nell’identico spazio di una quinta.
Riprendendo la metafora precedente, DO e DOm sono due esseri umani con testa, busto e gambe al loro giusto posto con una lieve differenza tra i due busti.
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Altra precisazione relativa a qualcosa in cui siamo tutti coinvolti nella vita quotidiana, che permette di comprendere meglio (ontologicamente e manifestatamente) il linguaggio musicale e quindi di ampliarlo: è pressoché totale dare del ritmo la definizione di un qualcosa con cadenza regolare, ciclica.
È un’enunciazione incompleta di vocabolari, enciclopedie e manuali musicali, limitante e soprattutto fuorviante: il ritmo può essere così, ma non necessariamente, anzi…
Peraltro, nel suo profilo etimologico più profondo (e non nella successiva adozione platonica) il termine ritmo è casomai in antitesi al concetto di pattern, di costretto e costringente schema reiterato, perché indicante forma in movimento, fluida, pertanto cangiante.
​
Brevemente, basterebbe pensare a una qualunque nostra frase parlata: tutte sono ritmiche, e hanno delle configurazioni complesse e non cicliche, differenti pure l’una dalle altre che seguono.
Se così non fosse, se parlassimo con ritmi come indicati nei dizionari e trattati musicali, sembreremmo più robot che esseri umani; comunque monotoni, inespressivi.
Ne consegue che il brano musicale o la parte più ritmica e viva di esso, di un’esecuzione ecc., non sta certamente in una parte somigliante a un ticchettio di un orologio, ma a un fluire ricco di imprevedibili ma consapevoli e coerenti segmentazioni che si concatenano.
​
*Ovviamente sono possibili anche altre combinazioni, ma sono parecchio meno usate.
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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