E, sebbene ovviamente in primis parta da se stessi per se stessi, il comportamento non può non coinvolgere altre persone.
Pertanto, al netto del neutro grigiore, si è o pro o contro il fare il bene altrui; prodi o vili.
A volte peggio ancora, vili senza pudore: vigliacchi.
Questo perché il vero artista non è colui che intrattiene, divertendolo, il pubblico, ma colui che lo innalza, esponendolo a peculiarità che gli fanno comprendere nuove realtà e quindi avvertire nuove sensazioni.
Tuttavia, come per il vivere, pure nell'arte è più il grigiore che altro, con l’aggravante che mettersi nel campo artistico è una scelta, non è necessario come vivere.
Quindi chi ha scelto di “fare arte” dovrebbe maggiormente spendersi nel metterci coraggio e rifuggire più possibile la pavidità di creare qualcosa che non incontri il favore del pubblico, perché quel che magari potrebbe fare richiederebbe troppo approfondimento da parte di chi riceve; quindi, c’è il pericolo che venga disapprovato da quella ampia maggioranza che cerca semplicemente dello svago.
Dunque, titillare la superficie dei sensi e dell’intelletto, ciò che più facilmente intrattiene e diverte, altrimenti non si sopravvive?
Va da sé che ciò è dato dal “mercato”, che naturalmente è costituito dalle persone; quel che in modo più semplice si può vendere traendone maggior profitto possibile.
È giusto debba andare così per l’arte? E cosa avviene prima, l’offerta o la richiesta?
Dal Novecento specialmente l’Europa occidentale, in modo peculiare l’Italia, è stata fecondata dagli statunitensi, che hanno esportato la loro cultura, volta a concentrarsi particolarmente sull'intrattenimento e sul profitto (anche correlato).
Ed ecco il successo dell’arte contemporanea, segnatamente l’astrattismo, l’espressionismo astratto e l’informale, in cui le profonde significazioni dei secoli precedenti sono spazzate via: allegorie e simboli connessi con la storia, religione, letteratura mitologica ecc. non ci sono più.
Oggi è invalso “ognuno ci vede quel che vuole”, sollecitato sensorialmente da accostamenti e sovrapposizioni di colori, linee, curve ecc. Non bisogna più comprendere il contenuto, sforzarsi nell'acculturazione storico-artistica, al massimo un po’ di aneddotica, perché se qualcosa dà una buona sensazione, se piace, lo si è compreso; punto.
In musica per ora derive così rivoluzionarie non ci sono, e i motivi sono vari.
Tuttavia, da parecchi decenni ci sono musiche alquanto superficiali, più “sensazionali” che pregne di contenuti, che possono essere assimilabili all'astrattismo e simili, costituendo dei generi chiamati New age, Ambient e derivati, alquanto di nicchia.
Chi preferisce questi generi non corrisponde in massima parte a quel pubblico di una certa età che a ogni piè spinto tanto si lagna delle musiche contemporanee, e si rivolge al passato, pure remoto, sovente di ottima qualità: ma è del tutto vittima incolpevole?
Quel che è comunque avvenuto è l’invalsa “domanda” di essere intrattenuti con poco sforzo, magari rammentare la propria giovinezza, e non a “crescere” come recepenti dell’arte musicale, di essere elevati in termini di comprensione e quindi di sensibilità.
Pertanto pure chi si è appassionato a ottime musiche, facendo la tara a quanto sia profondo l’effettivo grado della loro intrinseca comprensione, la grande maggioranza di costoro non gradisce cambiamenti, “domanda” sempre la stessa zuppa condita un po’ differentemente.
E ciò i musicisti lo seppero e lo sanno e ne hanno tratto e ne traggono delle conclusioni…
Quindi se è vero come è vero che la principale responsabilità del grado qualitativo della musica (e dell’arte in genere) non può che essere degli artisti, della loro offerta, è pure vero che una domanda più esigente del pubblico non può che stimolare, incoraggiare quegli artisti che possono effettivamente essere creativi, innovatori, spingendo tutto e tutti più in alto.