Pertanto anche la bellezza/bruttezza del suono di uno strumento o espressa da uno strumentista.
Ed essendo un chitarrista elettrico, la categoria in cui è più diffusa la morbosa ricerca dei “bei suoni”, so bene che è piuttosto delicata la questione.
Ciò che è fuorviante è l’aggettivo bello (o brutto).
Ci sono suoni, timbri, insomma colorazioni musicali che, a fronte dei canoni di generi e stili che nel tempo si sono codificati, risultano più opportuni di altri, perciò più efficaci per esprimere i tratti distintivi di quello stile o genere musicale.
Ecco allora, per esempio, che all’ingrosso la tipologia timbrica nel Funk è di suoni rapidi e secchi, pertanto con poco “ambiente”, più chiari che scuri, più taglienti che morbidi, e viceversa nel Pop-Rock più gonfi e morbidi e con più ambienza. Mentre i suoni nel Rock-Blues o nell’Hard-Rock hanno un medio-alto gradiente di saturazione delle chitarre (a volte un po’ qua e là pure di basso e tastiere), e viceversa nel Jazz e nel Soul…
Quel che fa dire più o meno bello/brutto (anche il più prudente e corretto mi piace/non mi piace) di un suono, quindi non una qualificazione neutra, ma valoriale, è principalmente l’abitudine di associare alcuni specifici timbri al genere o allo stile musicale che si conoscono mediante gli attori prevalenti o comunque quelli che si ammirano di più come proposte musicali.
Ma non per questo sono oggettivamente suoni belli quelli che più nei dettagli somigliano a ciò che perfettamente si conosce ed è “passato in giudicato”, e meno belli quelli che gli somigliano di meno; o addirittura brutti quelli che non gli somigliano affatto.
Paradigmatico è ciò che accade tra i chitarristi elettrici; e si può estenderlo a tutti e a tutto il fenomeno e al concetto bello/brutto inerenti i suoni musicali.
C’è (tra noi) la cosiddetta G.A.S., acronimo anglosassone di Gear Acquisition Syndrome ovvero sindrome da acquisto compulsivo: l’inesauribile desiderio di acquisire attrezzature (gear) attinenti alla propria professione o hobby che sia.
I dilettanti, in particolare, anche solo per numero, contribuiscono in modo esuberante al “consumo”, all’acquisto di strumentazione: si ha sempre la tendenza a essere insoddisfatti, e quindi cambiare continuamente strumenti e accessori…
E con l’avvento del web e Internet, è diffusissimo comunicare in modo parossistico di suoni ed esperienze tra i tantissimi chitarristi appassionati, che naturalmente autoalimentano il fenomeno; con grande soddisfazione delle case produttrici e di tutto l’indotto.
E quindi spesso chi suona tende a replicare (oltre le generiche linee guida sopra descritte e questo può andar bene per rendere efficiente la propria azione) le minime sfumature timbriche del già ascoltato di questo e di quello (in scena soprattutto la mia categoria), rimbalzando continuamente tra un’imitazione e un’altra, girando in tondo, approdando nel tempo a poco o nulla di concreto.
Il suono bello in assoluto è un errore, un limite, ce ne sono di infiniti belli, tutti lo sono: compatti e potenti o sgranati e complessi, sguaiati o allusivi, taglienti, morbidi, aggressivi, rotondi… e, come si suole dire, chi più ne ha più ne metta.