Altre volte quei sensi si sopiscono, non si sta più in sorveglianza del quotidiano vivere, ci si lascia andare come quando si sta in viaggio di vacanza; si socchiudono gli occhi al sole e si conquista quel che si vede con un’attenzione a dettagli e sfumature di colori e luci che normalmente non si ha, e che fa sentire lo scorrere di quel tempo come onirico, sospensione della realtà opprimente di pericoli: estranei della nostra sorte e quindi beatamente rilassati.
Sovente la musica di Pat Metheny sembra donare questa sensazione di viaggio…
Tutti e due sono degli anni Settanta e successivamente nessuno, in ambito jazz, è riuscito a fare altrettanto: sono coloro da cui discendono come linguaggio tutti i moderni chitarristi jazz.
Solo questo basterebbe per far assurgere Metheny a monumento vivente.
Ma la sua importanza non si esaurisce qui: lui ha sin da subito offerto una straordinaria prospettiva compositiva e grazie a questa è stato protagonista di una feconda era musicale di una peculiare natura fusion, spesso in coppia col compianto tastierista-compositore Lyle Mays, scomparso il mese scorso alla vigilia della pubblicazione dell’ultimo disco del chitarrista del Missouri: From This Place.
Altresì in tutti e dieci brani del disco ha sovrapposto un’ampia orchestra, l’Hollywood Studio Symphony (diretta da Joel McNeely), e ha affidato alcuni arrangiamenti orchestrali al grande e misconosciuto Gil Goldstein, altri ad Alan Broadbent. Ci sono pure ospiti Meshell Ndegeocello (voce), Gregoire Maret (armonica) e Luis Conte (percussioni). Lui chitarra elettrica e classica (e tastiere).
Tutti i brani sono composti dal chitarrista, e qui, similarmente al PMG, è tutto molto strutturato e rigorosamente organizzato.
A quasi 66 anni Metheny presenta dieci brani per oltre 76 minuti di musica; la maggior parte di essi ha delle reminiscenze col suo passato, cosa inevitabile dopo quasi mezzo secolo di prolifica produzione.
Per quanto riguarda il suo solismo sono parecchi anni che non ci sono novità stilistiche né particolari impennate (peraltro qui senza alcuna saturazione, tutto “pulito”, e soltanto un intervento con la sinth), ma come sempre il tutto è svolto con magistrale abilità.
A volte i rinvii al passato sono più carsici altre più evidenti (Same River, Sixty-Six, Wide and Far), in alcune occasioni si è mescolato con alcune soluzioni fusion-caraibiche di michaelcamiliana memoria (Everything Explained), o con un esplicito quanto garbato e quasi liturgico cantato (From This Place, cui echeggia lontano "Bridge Over Troubled Waters"), col quieto, lirico e un po’ zuccheroso romanticismo (The Past in Us, Love May Take Awhile), con la propulsione dello stellare quartetto “Parallel Realities” di Jack DeJohnette cui fece parte (Pathmaker), con un minimalismo ipnotico quasi rock radioheadiano (You Are, che rimanda alla sezione finale del primo brano America Undefined).
E il capolavoro del disco è proprio il lunghissimo (oltre 13 minuti) brano di apertura America Undefined, un vertiginoso viaggio tra un tema ricorrente, assoli di pianoforte e chitarra elettrica, frastagliati ritmi, armonie modulanti e polifonie cromatiche, ripresa tematica ed estesa nell’ampia sezione finale ove tutto si quieta, armonizzato, e in cui, pur nella sontuosità orchestrale e nelle diversità, qualcuno può intravedere Pyramid Song dei Radiohead. Percorso di salite e discese senza scalinate normali, ma con quelle vorticose a chiocciola; a volte con quelle paradossali di Escher.
Esemplare qui (come nel resto del disco) l’uso sovrastrutturale dell’orchestra (mezzo secolo fa Don Sebesky docet con la CTI), specie di principesche super tastiere che polifonizzano con discrezione di scrittura parti e orchestrazioni, pertanto di mix di trame timbrico-volumetriche: affascinanti fondali scenici, anche perché talvolta appena accennati, pannelli mobili che donano profondità e densità funzionali agli equilibri e alle dinamiche delle composizioni e delle esecuzioni del quartetto.
Metheny, sin dall’inizio della sua carriera, è andato pure oltre, è un campione della Fusion, di quella più nobile, complessa e cantabile al contempo, intrisa di interventi strumentistici di gran qualità.
From This Place è una brillante conferma di questo; d’altronde il magnifico The Way Up del 2005, l’ultimo col PMG, stava già lì a indicare ciò…
Pat Metheny è uno dei protagonisti del libro 📙 Eroi elettrici - I grandi solisti della chitarra