Dopo il disco di debutto, Talking Heads: 77, con More Songs About Buildings and Food del ’78 inizia la loro collaborazione. Con Fear of Music del ’79 produce risultati ulteriormente intriganti, confermati col successivo Remain in Light del 1980, che precede Speaking in Tongues col quale inizia la parabola discendente, seppur di pregio, dei Talking Heads.
Insieme con Eno la band vide la collaborazione di due chitarristi di eccezione: Robert Fripp e Adrian Belew, il primo episodico il secondo più durevole. (Appena dopo i due dettero vita ai “nuovi” King Crimson.)
Ma che musica hanno fatto i Talking Heads? Funk-Rock a trazione chitarristica.
All’inizio pochissime tastiere ed “elettronica” (dopo, ben di più); da Fear of Music, segnatamente col suo brano di apertura I Zimbra (con Fripp che sta mettendo a punto le sue strutture chitarristiche per i nuovi KC), Byrne esplicita un interessamento al tribalismo africano che sarà da lì in poi alquanto fruttifero.
Le loro costruzioni musicali, modali e modulari come il Funk, si basano essenzialmente su riff, con qualche apertura melodico-armonica qua e là. Del Rock riprendono tratti degli assoli e i ritmi percussivo-bassistici più “dritti” di quelli molto sincopati del Funk, perciò più ossessivo-meccanici che saltellanti. Tuttavia almeno una delle chitarre spesso disegna linee parecchio funky.
Dunque quasi bandite ballad e cupezze atmosferiche, ma tempi medio-veloci o comunque frementi, scalpitanti e su di tono, perfettamente coniuganti il particolare cantato di Byrne. Semplici ma molto efficaci.
Non si può terminare questo brevissimo profilo dei TH senza citare un loro gruppo “parente”, più complesso in tutto, che è stato molto importante, ma che purtroppo, in Italia in particolare, alquanto poco conosciuto: The Tubes.
Hanno in qualche modo anticipato e affiancato i TH nello scenario che dalla metà dei Settanta vide una crisi della musica più “difficile” (compreso il Jazz), i Tubes riuscirono a connettere in modo originale e con un grande impatto molte delle peculiarità del Rock più alto.
Ma siccome il pretesto è stato il disco Speaking in Tongues, che ancora era nel dominio del formato LP, uno per lato ci sentiamo in dovere di segnalare i due brani (dei nove) più significativi di questo lavoro che ebbe ottima affermazione popolare.
Burning Down the House non fosse altro per il successo conseguito: un “pesante” funky alla loro maniera con l’incipit chitarristico di sensazione frippiana; e This Must Be The Place, il pezzo più “melodico” del disco. Aprono e chiudono questo lavoro e sono i singoli estratti da questo che non si può certo annoverare tra i loro dischi artisticamente più importanti, seppur interessante.
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