Questo è un disco estremamente modale, basato su pochissimi elementi armonici/polifonici, con forme alquanto basilari e strutture ridotte, con molte interazioni e interventi solistici di John McLaughlin (chitarra), Jan Hammer (tastiere) e Jerry Goodman (violino).
Parecchio centripeto, compatto, poco arioso ed eterogeneo, una potentissima molla compressa che raramente sprigiona tutta la sua capacità, distendendosi: energia in tensione, scuro.
Trilogy (di McLaughlin e diviso in tre sottotitoli) è il primo pezzo e le coordinate sono quelle del brano Birds Of Fire, evocativi colpi di gong e subito a seguire arpeggio di chitarra in metrica dispari (7/8); si sovrappone una frase in unisono di tastiere-violino-batteria (Billy Cobham), col basso di Rick Laird (missato molto debolmente) che marca alcuni punti.
Seguono combattivi duetti McLaughlin/Hammer, con la “ritmica” che li supporta.
Dopo qualche minuto si acquieta il tutto e prende vita un’altra sezione con protagonista Goodman, prima con l’esposizione reiterata di un tema (doppiato dal basso che poi suona un sorprendente quasi tumbao afrocubano), poi, dopo un eclatante cambio di velocità con ritmo variato e metro pareggiato in rapidissimo 14/4, in assolo puntellato da un riff. Ancora scambi di sciabolate tra chitarra e tastiere. Per il finale si riprende l’arpeggio iniziale con l’innesto, a circa 12 minuti, di un altro riff, la conclusione con l'obbligato già presentato varie volte (quella a 3'41” esecuzione un po' confusa).
Sale al proscenio la vorticosa quanto aggressiva chitarra di McLaughlin: a fronte di un tocco e un’articolazione degna di Hendrix e non banalmente adottando un suono distorto (qui spesso filtrato da un simil Univibe), egli riuscì a fondere un suono realmente rock con un lessico colto e fuori dalla norma. Il risultato? Unico.
Poi è la volta del violino ultra filtrato di Goodman che improvvisa, con la band che riprende il riff iniziale (con qualche licenza); dopo uno stacco, temperatura in discesa, si riprende la seconda sezione apparsa precedentemente, con assolo di Hammer al sinth (Moog); temperatura in salita...
Coda inaspettata: velocemente, su una nota trillata, termina il pezzo.
Principia sottovoce, in un clima quasi “pastorale”, con chitarra classica e violino su un sommesso pulsare di note in bassa frequenza; gradualmente, dopo qualche minuto, piano elettrico, batteria, e le stesse note espresse con più energia, preludio di un’importante cambio di scena.
Macro tempo in 5/4 con nota LA ribattuta e terzinata, assolo di piano elettrico, Cobham interagisce come suo solito reticolando continuamente micro impulsi ritmici sul rullante: così rende ancor più serrato il ritmo di 15/8 che si produce. Poi emerge un motivo ascendente che spinge tutto all’insù, velocità e intensità. Stop, piano elettrico e chitarra. Non dura molto, riprendono tutti più furenti di prima: l'energia è da band hard-rock. Successivamente una spettacolare serie di modulazioni metriche. Qui non è il caso di entrare nei dettagli, basti sapere che mediante queste variano umori e atmosfere, mantenendo tuttavia una sottesa consistenza unitaria: grandiosi.
Si susseguono roventi assoli, anche un duetto tra chitarra e batteria, da soli: sembra un duello…
Si conclude con una fase quasi elegante, un agile e leggero funkeggiare che potrebbe rammentare l’Herbie Hancock di quel periodo, al netto delle lancinanti note che sovrappone il leader sostenuto da Goodman; comunque tutto rapidamente tramonta come intensità e velocità fino al gong terminale.
John McLaughlin è uno dei grandi chitarristi solisti che ho raccontato nel libro Eroi Elettrici.