La (dis)armante formula la conoscono tutti gli addetti ai lavori, infatti, ovviamente, nel corso dei decenni trascorsi da questo brano del 1972 di Stevie Wonder, si possono contare molte centinaia di hit che hanno “tormentato” le orecchie di molti.
Non è ravvisabile solo un motivo per il quale un pezzo come questo rimane e altri sono dimenticati, ce ne sono vari e non tutti inerenti all’intrinseca qualità musicale.
Superstition è un pezzo funk tutto suonato da Stevie Wonder (fatti salvi i fiati), strutturalmente ortodosso e di carattere non duro.
Poi entra il motivo cantato da Wonder anch’esso pentatonico.
Tutto semplicissimo ed efficace: su un accordo (MIbm) due cellule melodiche s’incrociano: clavinet sale-voce scende.
Successivamente (a 50”) s’innesta una sezione fiati che punteggia in modo sincopato e incisivo con un altro motivo (pentatonico anch’esso) doppiato anche dal basso.
Si ripete il tutto per alcune battute, dopo (a 1’09”) si passa alla breve sezione di quattro accordi cromatici (SIb-SI-LAdim-LAb) che “slittano” rapidamente, offrendo un po’ di rilascio della tensione: cessano tutti gli ostinati accumulati e il superstitionfunk si tinge di flamenco-blues...
Siamo a poco più di un minuto (1’16”), arriva il break con cinque veloci note ribattute nel registro alto.
Fill di batteria e si ricomincia da capo con sei note discendenti della sezione fiati (1’18”). Tutto qui.
Naturalmente le due sezioni si ripetono un paio di volte fino alla fine, con pochissime varianti; termina su quella iniziale ma senza voce.
Super complimenti, quindi, all’architetto-ingegnere-geometra-operaio Stevie Wonder: con pochissimo materiale ha edificato un piccolo e delizioso bungalow che gli ha reso come una villa hollywoodiana; no, due o tre…