La sua arte si è espressa nel comporre musiche super melodiche-cantabili che erano elegantemente ambient (“Gymnopédies”, “Gnossiennes”), oppure musiche frammentatissime e ripetitive come flash musicali affastellati, affabulando improbabili “storie” (“Parade”, colonna sonora di “Entr’acte”, “Heures séculaires et instantanées” ), a blocchi armonici di accordi che fanno “cantare” la melodia, atonali o comunque tonalmente super modulanti anticipando anche il Jazz moderno post be-bop (“Prelude de la porte héroïque du ciel”), estatiche, monotone e quindi ancora ripetitive e provocatorie (Vexations).
Insomma Satie ha previsto l’era odierna (musicale e non) intuendo le fondamenta del nostro tempo presente o appena passato, effettivamente basata su pilastri minimali di ripetitività (e di monotonia) talvolta senza soluzioni di continuità e quindi musicalmente con risorse molto omogeneizzate tra loro che fluidificano il discorso musicale e che fanno tanto “ambiente”.
Talora invece queste “modernizzazioni” sono evidenziate con contrapposizioni e stacchi che operano dunque improvvise transizioni di frasi ripetute, che rendono il corso musicale instabile, nevrotico, pieno di curve, saliscendi e di ostacoli: questa musica si “solidifica” attimo dopo attimo e si cristallizza come fosse un frastagliato oggetto sonoro: piena espressione della stressante vita del XX secolo.
Satie è riuscito a fare tutto ciò con gli strumenti acustici orchestrali dell’epoca (principalmente il pianoforte) ma talvolta ha usato rumori come sirene, macchine per scrivere, fischi, pistolettate ecc.
Philip Glass, Steve Reich, Michael Nyman, John Cage, Terry Riley, Brian Eno, tra i tanti, sono personaggi che oltre mezzo secolo dopo Satie hanno appunto intrapreso la strada del minimalismo e della ripetizione, dell’ambient music anche con l’ausilio dell’elettronica che tanto ha stimolato la cosiddetta musica new age.
Tuttavia Satie non solo è il precursore assoluto e sardonico di questa nuova era musicale, ma pure l’unico che è riuscito a esprimere tanto un’età meccanica e disumanizzata quanto la spiritualità animistica che ne era rimasta schiacciata.
E questo è riuscito a farlo “operativamente” nello stesso momento, e non per affermazione e negazione logica l’una dell’altra, ma facendole “felicemente” coesistere: ecco il genio.