Fatti salvi i colossi innovatori come Sly Stone, Stevie Wonder e Gino Vannelli (e lateralmente gli Earth, Wind & Fire), Jarreau, dal versante della radice più mainstream Jazz (anche soul/r&b) e quindi nei perimetri più ristretti di una scarsa sperimentazione sonica e più legato al format della song raffinata, stava estendendo i confini, poiché quella diffusa mobilità musicale del tema melodico di una canzone, che nel generale andamento ritmico tanto somigliava a quella pop-rock, non si era mai ascoltato. (George Benson fece fortuna prendendo anche lui una direttrice simile, ma fu più incisivo anche perché nel cantare era meno svincolato, più ricorsivo; e questo, si sa, paga…)
Fu unica la sua maniera d’improvvisare linee vocali intonando timbri inusitati e fare scat molto ritmico (sillabare note senza testo a mo’ di strumenti musicali finanche quelli percussivi), in grado di affrontare brillantemente alcuni tra i brani più monumentali del repertorio jazz (Take Five, Spain e Blue Rondò a la Turk).
Il cantante, dopo il transitorio All Fly Home del ’78, realizza la trilogia della maturità artistica inaugurata nel 1980 con This Time, il suo capolavoro: una magnifica fusione tra Funk, temi altamente melodici, improvvisazione, lirismo e un suonato di tutto rispetto.
Al prosegue nel 1981 con Breakin’ Away, degno successore di This Time, ma più nel segno di una sofisticatissima Pop-fusion meno legata all’improvvisazione, che approfondisce l’incisività dei temi sacrificando colori, varietà e duttilità: orizzonti meno ampi.
L’omonimo Jarreau (’83) conferma l’andamento discendente delle matrici nobili, dell’improvvisazione, ove a volte al posto del Funk c’è la Dance, e soprattutto è calante la qualità musicale generale. Sono gli anni del successo di vendite e della sua consacrazione come interprete di qualità superiore.
In seguito realizza dischi sempre più legati alle tendenze pop-dance di quell’epoca, seppur di gran pregio: High Crime (’84), In London (live ’85) e L is for Lover (’86).
Poi il lento ma dorato tramonto.