Carlo Pasceri
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La Settima di Shostakovich, sinfonia contro l'assedio nazista

6/2/2018

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Le sinfonie (e in parte le suite), a differenza dei più importanti altri generi, forme e stili della musica Classica e non, sono lo spazio musicale più democratico. Infatti (fatta salva la medievale polifonia) il concerto, l’opera, la sonata, il lied o una qualsiasi moderna canzone, improvvisazione jazz/blues ecc., pone una condizione aristocratica o al massimo oligarchica, con “qualcuno” che diffusamente ha una posizione predominante.
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Per avvicinarsi alla musica sinfonica può esser utile iniziare con l’ultimo dei grandi sinfonisti della musica Classica: Dimitri Shostakovich.
La sua sinfonia più famosa, ancorché certamente non la migliore, è la Settima, in DO maggiore op.60 “Leningrado”, chiamata così perché fu scritta nel corso del primo anno dell’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, tra l’estate e la fine del 1941.
Perciò è l’ideale per avvicinarsi a lui e in genere alla Classica sinfonica più moderna.
Quindi in circa sei mesi il compositore concluse un’opera dai tratti di certo non innovativi, anzi, quasi popolari, che si estrinsecano mediante un linguaggio alquanto semplice sia in termini tattici di puro lessico (le catene di note usate, le scale e le frasi) sia strategicamente, ovvero la complessiva strutturazione formale (quanti e quali temi si succedono in una data cornice temporale).
L’opera è molto ampia (di solito oltre settanta minuti), e si dispiega negli ortodossi quattro movimenti: il primo, lunghissimo (circa venticinque minuti) Allegretto, il secondo, Moderato poco allegro di oltre dieci minuti, il terzo, Adagio, di oltre diciotto minuti, e infine l’Allegro non troppo appena più breve.
​
La “settima” è una gigantesca manifestazione di temi e variazioni, di iterazioni cicliche che si dispiegano nella linea del tempo, anche con alcune particolarità timbriche, considerato il massiccio uso delle vere e proprie percussioni cioè quelle “rumoristiche” (tamburi e piatti) e quelle intonabili (timpani e l’idiofono xilofono). Dunque il Bolero di Ravel un fondamentale punto di riferimento.
I movimenti esterni 1 e 4 più tensivi e quelli centrali 2 e 3 più rilassati.
L’arco delle polarizzazioni tonali più rilevanti dopo l’avvio in DO sono in SOL, MIb, LA / SI minore, DO# minore / RE, MI, SOL# minore / DO minore, MIb, SI, e il terminale ritorno in DO.
 
Il primo movimento (diviso in quattro parti), che è quello più conosciuto, è avviato da un lungo e stentoreo tema di 11 misure in 4/4 per azione delle sezioni di archi interpuntati da fiati e percussioni (circa 30”); poi cominciano ad avvitarsi successioni di variazioni e canoni.
A circa due minuti e mezzo, dopo una breve transizione dominata dai flauti con abbassamento della “temperatura”, avviene una seconda idea tematica (seconda parte), lirica, di ampio respiro, note sostenute, espressa con archi e legni.
A circa sette minuti si conclude questa parte più sommessa, e si riprende (terza parte), originando da un tenue pizzicato degli archi, una lunghissima e spettacolare serie di variazioni (11) sul tema allungato del doppio delle misure e quindi 22 (però quando l’espongono per la quarta volta l’oboe e fagotto in canone divengono di 40 misure), sorta di profondo studio sui processi compositivi inerenti alle tecniche d’incremento, anche tramite il succedersi di mini ostinati, dei riff che si innestano nella trama, effetti percussivi, ribattuti, trilli ecc., con ulteriori parafrasi del “tutti” modulando: una entusiasmante marcia in crescendo. Poi (circa al diciassettesimo minuto) l’orchestra si placa (quarta parte), la massa volumetrica si assottiglia e si va verso il finale del movimento e quindi la transizione verso il secondo, che sarà quasi uno Scherzo…

Il secondo movimento, a compensazione con la tensione creata dal primo, concerne segni del tema principale, inizialmente aggraziato poi continua con una melodia cantabile condotto dai legni con accompagnamento degli archi, poi riesposizione e ripresa del tema iniziale. Iterazioni e variazioni delle idee tematiche assicurano l’espansione di una densa trama che si accende di vivaci vampe strumentali, sino a una circolare frase degli archi che conduce alla ripresa. Il movimento termina col tema principale abbreviato ed esposto dai violini, e col riaffiorare dell'accompagnamento ritmato del tema secondario.

“Il terzo movimento è un Adagio patetico, il centro drammatico dell'intero lavoro”. Asserzione dello stesso Shostakovich…
Principia con un tema corale di fiati e arpe e prosegue con una declamata melodia esposta dagli archi; questi due elementi tematici, con variazioni, si alternano… a quasi otto minuti s’innesta in tempo ternario un rapido tema contrastante e risoluto condotto dagli archi, sottolineato poi dalle percussioni: aumenta il climax. Dopo circa due minuti, gli archi ossessivamente intonano un brevissimo ostinato nella tessitura acuta, “sotto”, minacciosa l’orchestra prosegue il contrappunto; poi a circa dieci minuti l’ostinato passa agli strumenti più gravi, per riprendere, poco prima degli undici, col corale e il declamato espressivo degli archi. Il carattere di questi due movimenti centrali è alquanto mahleriano, per causa dello stile tardo romantico e della qualità delle melodie cantabili, non proprio alte, un po’ ordinarie…

Praticamente senza soluzione di continuità sui cupi rintocchi di timpani con cui terminava il terzo inizia il quarto movimento.
Lentamente, ma non troppo, s’intrecciano alcuni motivi melodici in modo contrappuntistico, la tensione sale col numero di note che s’intrecciano nell’unità di tempo dando la sensazione di una bruciante accelerazione. A circa tre minuti entrano in maniera sincopata gli ottoni in sezione che forniscono un impulso violento; i violini sempre più rapidi, virtuosistici. Poco prima dei cinque minuti si giunge a un climax verdiano, con fanfare di ottoni, colpi di grancassa e piatti, e maestosi tamburi. Però subito un complementare decrescendo con tema che rammenta l’atmosfera di quello che principia il precedente movimento, e ancora contrastante si innesta dopo pochissimo in tessitura medio-bassa un ostinato in 7/4 che potrebbe esser perfettamente adottato come un riff Jazz-Rock. Poco dopo, variato e con varianti, il riff trasla in tessitura media, dura non molto: a circa sei minuti apertura di archi un po’ lugubre, tesa, che continua per qualche minuto.
Riemergono qua là alcuni spunti tematici anche dei precedenti movimenti, in modo quasi rapsodico, si prosegue fino ad arrivare in modo tanto lento quanto inesorabile al poderoso climax conclusivo, un po’ trionfale e straussiano, con tutta l’orchestra (a circa diciassette minuti), di una solenne affermazione di libertà di un popolo pagata a carissimo prezzo.
Ma lui, Dimitri Shostakovich, oggetto di troppe pressioni da parte del governo sovietico, cadde preda di molte paure, che causarono un restringimento della sua libertà intellettuale e artistica: chissà cosa avrebbe composto se fosse stato meno sottomesso…
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    Carlo Pasceri
    Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore.


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