Ebbene, no, non si può fare musica solo col rumore; almeno non del tutto. E vedremo meglio più avanti perché e cosa si può fare col rumore, anche perché prima occorre comprendere cosa è una nota e cosa un rumore.
Non poche volte mi è stato chiesto: si può fare musica solo col rumore? Qual è la differenza tra una nota e un rumore?
Ebbene, no, non si può fare musica solo col rumore; almeno non del tutto. E vedremo meglio più avanti perché e cosa si può fare col rumore, anche perché prima occorre comprendere cosa è una nota e cosa un rumore.
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Tutti più o meno conoscono i tre fattori fondamentali della musica: ritmo, melodia e armonia.
Chiunque sa che una melodia è una sequenza di note singole che si possono fischiettare, l’armonia è realizzata dagli accordi dell’accompagnamento cioè molte note eseguite più o meno simultaneamente, e il ritmo è dato dagli impulsi contenuti in un ciclo di pochi secondi che in maniera reiterata qualche strumento esegue. C’è un ulteriore elemento chiamato tempo cui tutto ciò è biunivocamente connesso. Il tempo musicale significa due cose indipendenti tra loro: velocità e metro. Il movimento vitale è dato da collisioni più o meno marcate, più o meno sfumate tra oggetti. Attriti energetici; potenza dinamica del calore.
Senza questi urti, contrasti, divergenze, resistenze, ci sarebbe la rigida, glaciale, immobilità. Dunque nel nostro vivere siamo continuamente alle prese con attriti di ogni tipo. Naturalmente pure in musica esiste ciò. Quando si dice a qualcuno (anche a se stessi) “immagina tal cosa”, si chiede di generare una scena con degli oggetti (eventualmente con le loro proprietà attive) e proiettarli su una sorta di schermo mentale.
Questa è l’esperienza più comune, quotidiana, che però solitamente produce confusione tra alcune parole molto importanti e i loro concetti: immaginazione, fantasia, idea e creatività. Queste parole si tende a usarle come sinonimi, ma non lo sono. Molto brevemente, pertanto senza alcuna pretesa di completezza, si tenta qui di chiarire la questione, per poi relazionarla al mondo dei suoni, alla dimensione musicale. In musica il più rapido effetto lo riceviamo dalla natura dei suoni: qualità fisica musicale; sovrastruttura.
Ciò determina quell’impatto emotivo che spesso è permanente negli ascoltatori anche più accorti, e che sovente non permette un approfondimento dell’ascolto più sostanzialmente musicale. Ossia quel che definisce la struttura della musica: ritmo, melodia e armonia. La magia di un’invisibile energia che viaggia nell’aria e colpisce il nostro udito incantandoci.
Basta una nota per attirare la nostra attenzione; per emozionarci, stregarci… La musica crea un‘atmosfera che altera in modo profondo la nostra percezione dell‘ambiente circostante; appena quei suoni smettono di far vibrare l‘aria, la magia cessa. Il successo di un brano (similarmente anche l’ottima accoglienza di un solo di uno strumentista) è dato perlopiù dalla sua facile cantabilità melodica: il motivo “orecchiabile”. E il buon dizionario musicale della Garzanti (Le Garzantine) ci informa che cantabile è un “pezzo vocale di carattere melodico, simile o uguale all’Aria, che si mantiene nell’ambito medio di un dato registro evitando intervalli difficili e rapide successioni di note”.
Vale a dire, lenti movimenti in un ridotto spazio musicale (di solito nell’ambito dell’ottava musicale ossia nello spazio di raddoppio-dimezzamento frequenziale delle note: per esempio Do1 – Do2). La Natura con le attività umane, specialmente quelle artistiche ma pure quelle laterali come l’architettura, sono correlate in varie maniere, alcune delle quali è proprio il caso di dire che sono sotto l’occhio di tutti come nelle arti plastiche e figurative. Però, seppur conosciute come informazioni cognitive, i modi correlativi più notevoli non coscientemente percepiti sono mediante proporzionalità matematiche, come quella della sezione aurea. Ovviamente qui non è il caso di estendere e approfondire l’affascinate argomento di quanto i rapporti matematici siano presenti in natura e nelle arti, solo un cenno in nesso con la musica, segnatamente nell’armonia musicale, chiarendo perché per esempio una diade (accordo di due note) è all’orecchio parecchio più elementare di una triade ed è incomparabile a una quadriade. E perché una triade pur avendo solo una nota in meno è molto più incisiva di una quadriade, e come mai gli accordi di cinque note in poi sono armonie tanto “ricche” da essere quasi una categoria a parte, pur avendo solo un paio di note in più degli altri.
Come già accennato nel precedente articolo, gli assoli musicali sono una porzione importante di musica, anche perché, tanto banalmente quanto brutalmente, aggiungono moltissime note al brano.
Cosa è che rende musica la musica? Di là ovviamente di cantare e usare strumenti musicali, cosa dà coesione e coerenza, ordine ed efficacia alla musica In sostanza alle altre arti come quelle figurative, la riconoscibilità della natura, di forme, oggetti ed esseri viventi, in letteratura, narrazioni di vita verosimili e coerenti; tutto con nessi logici. Ma alla asemantica musica?
L’indovinata disposizione di strofe, ritornelli ecc., la cantabilità di una melodia, un ritmo trascinante, un accordo intrigante? No, qualcosa di molto più essenziale, e di molto meno soggettivo... I brani musicali hanno scale di riferimento dalle quali derivano le note delle melodie e gli accordi delle armonie. La Tonalità concerne sia scale sia accordi. Il Sistema Tonale è basato principalmente su 12 tonalità maggiori (in subordine altre 12 minori con alcune varianti) perciò le scelte sono tra queste possibilità. Ancor oggi è imperante, dall’epoca barocca del XVII secolo, la dottrina musicale diatonico-tonale basata sulle successioni accordali; serie di concatenazioni armoniche con precetti tanto semplici quanto rigidi derivanti dalle scale di riferimento. Questo ovviamente ha determinato una contrazione delle combinazioni musicali all’interno delle tonalità (Sistema Tonale), quindi per uscire dalla monotonia, per offrire varietà si è perlomeno adottato (sin dall’inizio) il criterio di accostarle, ovvero nel corso del brano di traslare il campo di azione musicale e pertanto di percezione dell’ascoltatore: la modulazione.
Chi pensa che la scala Maggiore (Ionica) sia la base della musica occidental-europea si sbaglia. “Solo” dal periodo Barocco e ancor più da quello Classico, quindi dal ‘700 in poi, è così. La musica medievale gregoriana si basava su modi scalari che comprendevano anche la scala Ionica, ma questo era un modo alquanto poco usato, del tutto subornato ad altri, residuale.
Comunemente si pensa alla tecnica esecutiva musicale in modo errato. Moltissimi misurano il tasso tecnico di strumentisti/brani/gruppi prestando attenzione soltanto all’eventuale presenza di esecuzioni di passaggi musicali estremamente rapidi e netti (di solito a note singole pertanto melodici). Certamente non è sbagliato, ma assai parziale. Oltre a questo elementare aspetto della tecnica musicale, la mera meccanica del quanto (più rapidamente e nettamente possibile), c’è quello sofisticato del come ossia la cosiddetta pronuncia musicale, e il cognitivo quando ossia intendere delle misure ritmiche-metriche: sono gli aspetti più importanti e avanzati.
![]() Atmosferico, in senso figurativo, è una personalissima condizione di vivere un determinato momento; comunemente è considerato un peculiare stato interiore con le conseguenti vie di fuga dalla realtà (ma pure questa è una realtà...). Può essere prodotto da miriadi di situazioni, talvolta anche stare insieme o pensare a una persona particolare può generare quel particolare stato di ambiente intimo conchiuso e immune, "invulnerabile" agli accadimenti esterni... Invece ascoltare musica significa, invariabilmente, conseguire, in quel presente, una prodigiosa bolla "liquida" nella quale stare e immergersi, fugando la realtà circostante generandone un’altra. Un'importante differenza consiste nel farlo insieme con altri oppure no. Ricollegandomi in parte al precedente post dedicato al grande Satie, aggiungo qualche considerazione e approfondimento sul potente fascino dei cicli ripetitivi (in musica). I cicli sequenziali di eventi possono invertire quello che sembra incontrovertibile, cioè l'assoluta direzione temporale asimmetrica propria di tutte l'esperienze umane: se A è prima di B per il ciclo succedente B è prima di A (ABABA … ecc.). In questi casi dunque l‘attesa del futuro è memoria del passato e la nostra attenzione del presente è sempre attiva per catturarli. La memoria ci permette di ordinare gli eventi temporali già avvenuti (passato) per (nel presente) poterli preconizzare (futuro) nella loro eventualità ciclica.
![]() Giovanni Allevi, ospite del Giffoni Film Festival lo scorso 22 luglio: “A Beethoven manca il ritmo. Quello lo possiede Jovanotti. Un giorno ho capito che dovevo uscire dal polverone e cambiare approccio con la musica, anche se si trattava di quella classica. Stavo ascoltando a Milano la Nona Sinfonia di Beethoven. Accanto a me un bimbo annoiato che chiedeva insistentemente al padre quando finisse. Credo che in Beethoven manchi il ritmo. Con Jovanotti, con il quale ho lavorato, ho imparato il ritmo. Con lui ho capito cos’è il ritmo, elemento che manca nella tradizione classica. Nei giovani manca l’innamoramento nei confronti della musica classica proprio perché manca di ritmo”. La implicita e volgarissima approssimazione compiuta da Allevi, ovvero Batteria=Ritmo, la dice appunto lunga sullo spessore del personaggio: una carta velina. La qualità delle sue esternazioni è pari alla qualità della sua musica: prendersela troppo con lui è come rubare le caramelle a un bambino.
Tuttavia ci offre un importante spunto di ponderazione: quanto la batteria ha influenzato la musica dell'ultimo secolo e perché. Lamento spessissimo la perdita di occasioni nel dimensionare (o ridimensionare) correttamente oggetti e soggetti: troppe volte s'incensano specie di cosine e cosucce e s’ignorano o si minimizzano le cose. È la regola e non l’eccezione avere superficiali e soggettive analisi di lavori; sia come impostazioni sia come esiti. A conferma di questo andazzo, purtroppo, trovo una recensione del mio libro “Tecnologia Musicale” pubblicata questo mese su una rivista musicale (AXE ): mi ha indotto di scrivere una lettera aperta al Direttore. ...................................................................................................................... Gentile Direttore, grazie. Grazie dell’attenzione che comunque mi ha rivolto; ma sono dispiaciuto perché si è persa un’occasione: evidenziare un testo diverso, nell'impianto e nei contenuti, da tutti quelli in commercio, anche passati. L’occasione si è persa non tanto per quello che c’è scritto nella recensione, ad esempio le critiche mosse, che comunque accolgo, ma per quello che non c’è scritto. |
Carlo Pasceri
Chitarrista, compositore, insegnante di musica e scrittore. TEORIA MUSICALE
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Marzo 2023
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