Teoricamente sempre, perché una successione di note attiene all’elemento melodico della musica; come una successione di durate a quello ritmico, e un insieme di note simultanee a quello armonico.
E se il ritmo è il fattore più elementare e diretto, più facilmente assimilabile (imitabile), l’armonia è quello più sofisticato e “intellettuale”; in mezzo c’è la melodia, che non a caso è considerata la regina della musica, è comunemente intesa quasi sinonimo di musica.
Si è spesso fatto ricorso ad aggettivi (pertanto a effetti e non a cause) e a empiriche formulazioni di comodo: ciò che superficialmente e diffusamente è inteso melodico. Quindi aggettivi che sostanzierebbero il sostantivo: non è granché.
Tenterò di chiarire, sintetizzando parecchio (per chi volesse approfondire c’è un intero capitolo dedicato nel mio libro “Viaggio all’interno della Musica” e puntuali ed estesi rimandi nel “Piccolo glossario sinottico musicale”).
Nella percezione, la chiave di lettura più semplice e invalsa per intendere una melodia (considerarla tale) è quella della ricorsività, ciò dona una solida coerenza tra i suoi fattori costituivi; verrebbe da dire che la reiterazione (totale o parziale che sia) opera una saldatura tra le note.
Questo vale per tutti gli elementi musicali, quindi pure per il ritmo e l’armonia.
E va subito sottolineato che non a caso è diffusamente considerata una melodia già una breve linea di un paio di battute o poco più (con minime variazioni successive): a rigore ciò sarebbe un motivo melodico. In alcuni casi un riff (principalmente quando le note sono nella tessitura bassa/medio-bassa e non ci sono variazioni).
Più la linea è breve, più è ciclica e memorizzabile, cantabile.
Come d’altronde un ciclo ritmico (groove) è individuabile (ci sincronizziamo) quindi incisivo e quello armonico (giro o chorus) fa meglio incorniciare e formalizzare le sezioni.
L’altra caratteristica è che le note sono tratte da una scala musicale* molto diffusa, comune.
Da noi in Occidente è la scala Maggiore (con le sue derivate modali a cominciare dalla Minore Naturale), e da circa un secolo una Pentatonica minore divulgata soprattutto dai bluesman.
Una consueta melodia è data da una serie di note (non necessariamente tutte diseguali) di qualsiasi durata e ritmo quindi pure con pause, non pedissequamente scalare (a gradi congiunti), ma nemmeno con tanti e grandi salti intervallari (grandi distanze tra note), non particolarmente veloce o esageratamente lenta, con qualche mini ripetizione-variazione di una nota o mini cellule di note.
II tutto entro lo spazio frequenziale di poco più di un’ottava (in tessitura media, più spesso medio-alta e alta).
Pertanto sovente si configura un arco melodico piuttosto sinuoso, facilmente preconizzabile e memorizzabile, ma che non deve essere del tutto prevedibile, scontato.
Ecco perché l’esposizione di una scala senza pause e durate (quindi senza un denotativo ritmo) è considerata semplicemente un’asettica linea di altezze, non una melodia.
In ogni caso il ritmo in una melodia è l’elemento decisivo: pure in una successione di note che corrisponda ai principi sopra esposti, cambiare ritmo a tale successione è cambiare tantissimo; è mutare la forma vitale della melodia.
Ultima specificazione.
In assoluto una linea, un riff, motivo o melodia che sia, non può mai essere né consonante né dissonante: è fisicamente, in senso acustico, sempre neutra.
Nondimeno si possono generare delle dissonanze (tensioni dinamiche che forniscono notevoli energie musicali), allorquando una sequenza di note melodiche si sovrappongono ad altre note che quindi suonano assieme.
Altresì si possono percepire tensive alcune note o cellule motiviche, o addirittura intere linee, in presenza di grandi salti intervallari, e/o a passaggi in cui si è attinto a una scala diversa da quella di partenza; o totalmente, sin dall’inizio basati su una scala inconsueta.
Dunque questo concerne cos’è una melodia, e quindi le attribuzioni (ora sì) quando qualcosa (o qualcuno) è particolarmente melodico; per la qualità oggettiva delle melodie ciò inerisce al principio semplicissimo (ma di complicata individuazione) della creatività ossia dell’originalità.
*Ordine strutturale di note (di numero variabile) d'altezza progressiva determinato da una qualsiasi combinazione di susseguenti intervalli nell'ambito della Scala Cromatica.