Attriti energetici; potenza dinamica del calore.
Senza questi urti, contrasti, divergenze, resistenze, ci sarebbe la rigida, glaciale, immobilità.
Dunque nel nostro vivere siamo continuamente alle prese con attriti di ogni tipo.
Naturalmente pure in musica esiste ciò.
Per esempio il Pop, l’Hard-Rock, il Jazz e la New Age (che differiscono parecchio tra loro), tra i fattori più evidenti che subito emergono nel loro distinguersi c’è il timbro; i suoni, gli strumenti usati. La voce.
Nei primi due è diffusissima (nel Pop un po’ più presente dell’Hard-Rock) e nei secondi due no (comunque nel Jazz più presente che nella New Age).
Un altro manifesto fattore è il ritmo; poi c’è anche l’affabulazione di note (quantità e qualità relativamente al tempo).
Insomma: timbri, ritmi e quantità e qualità di note.
Nei ritmi e tra le note ci sono costantemente attriti: le molte gradazioni di essi determinano le “qualità delle note” (intendendo quindi in questo caso non come valore artistico-creativo ma solo come quote di attriti)
Tutto ciò è vero anche per il timbro che tralasciamo giacché più complicato spiegarne la natura e quindi comprenderne il concetto e la pratica.
Dunque in musica* ci sono sempre contrasti, quando tanti e/o qualitativamente forti c’è tensione, quando pochi e/o qualitativamente deboli c’è risoluzione; insomma, movimento e riposo.
Un ritmo differisce da un altro perché ci sono quantità e qualità diverse di urti tra i suoni; basti pensare, nel caso di una batteria, la differenza tra suonare un semplice e “dritto” 4/4 e un qualunque dispari, asimmetrico e con molti colpi: poco tensivo il primo, molto tensivo il secondo (l’equivalente in armonia di consonante e dissonante).
Comunque nella musica chi impera sono le note, perciò melodia e armonia.
Ne consegue che oltre i timbri e i ritmi, quel che essenzialmente differenzia di più i generi musicali (ma anche ciò che può rendere parecchio difformi un brano da un altro dello stesso genere) è la quantità e qualità delle collisioni tra le note; le loro convergenze e divergenze, le loro dinamiche vitali.
In musica, si sa, sono chiamate consonanze e dissonanze.
Però attenzione, ciò consiste nel concetto fisico, scientifico, di tensioni (dissonanze) e risoluzioni (consonanze), da non confondere col soggettivo (e fuorviante) concetto di sgradevolezza e gradevolezza.
E se è vero come è vero che consonanze e dissonanze sono state da molto tempo classificate, pertanto nei manuali di teoria musicale troveremo la lista graduata degli intervalli (distanze tra note) più consonanti e più dissonanti (ma nel corso dei secoli è variata proprio perché si associava gradevole=consonante/sgradevole=dissonante), nella normale percezione a orecchio è semplicemente questione di abitudine e quindi di gusto (ed ecco il cortocircuito con sgradevole/gradevole).**
Per esempio nel Pop e nell’Hard-Rock le strutturali tensioni musicali tra le note (quantità e qualità) sono simili, mentre differiscono parecchio rispetto al Jazz e alla New Age: nei primi due generi sono poche e di qualità minima, moltissime e massima qualità nel Jazz, quasi assenti nella New Age.***
Difatti comunemente il Jazz è reputato stancante da seguire, troppo imprevedibile e quasi caotico nel susseguirsi dei suoni; mentre al contrario la New Age troppo statica e ripetitiva, quindi noiosa e fredda.
Tutti e due questi generi, casomai, sono relegati come esili sfondi a ben altre attività piuttosto che all’ascolto attivo.
E non per caso la stragrande maggioranza del pubblico predilige il Pop e l’Hard-Rock.
Se è vero che le tipologie dei brani di questi due generi hanno poche tensioni strutturali è pure vero che sono più presenti quelle sovrastrutturali (soprattutto nell’HR e quindi è essenzialmente ciò che lo contraddistingue dal Pop), fornite principalmente da timbri, volumi, registri e velocità.
Ed è ciò che i compositori di tutti i generi (pure gli autori di assoli) cercano: i punti di equilibrio proporzionali tra le differenze di potenziale energetico (tensioni e risoluzioni) nelle varie parti dei brani per generare e far fluire la loro musica come desiderano.
Le scelte decisive per ottenere questi risultati nella percezione di chi ascolta sono innanzitutto tra quell’organico e complesso potenziale musicale, strutturale e sovrastrutturale (tra note e ritmi e tra timbri, volumi, registri e velocità), poi all’interno di ognuna di queste.
Lo studio fondamentale per i compositori e solisti (per quelli dei generi più semplici può essere anche solo empirico) è quindi di queste gradualità di proporzioni tra tensioni e risoluzioni, dunque gli effetti che producono per poi usarle nel creare musica.
* Ovviamente evidentissime diversità pure nel macro genere della Classica: a titolo di esempio, l’enorme differenza che intercorre tra i brani di Corelli o Vivaldi e quelli di Debussy o Stravinsky è data dalla quantità e qualità degli attriti, delle tensioni, tra i suoni.
** Nella pratica dei brani, le vere e proprie pure consonanze non esistono, accadono sempre gradazioni di dissonanze.
*** Va da sé che variano da brano a brano e da stile e stile dei vari generi e autori.